Erofeev
Quando leggi i suoi coetanei-antipodi, ti capita di ritrovarti così assordato da non sapere più “cos’è che vuoi”. Ti viene voglia di essere scagliato nella polvere, o di scagliare la polvere negli occhi dei popoli d’Europa; e poi d’impantanarti in qualcosa. Ti viene voglia di reimmergerti in qualcosa, ma non si capisce bene in che cosa; nell’infanzia, nel peccato, nello splendore o nell’idiotismo. Affiora il desiderio, infine, che ti uccidano con un azzurro stipite intagliato e che gettino il tuo cadavere tra gli arbusti di fusaggine. E roba simile. Con Saša Čërnyj, invece, “è bello starsene seduti sotto il ribes nero” (“facendo una scorpacciata di yogurt ghiacciato”) o sotto un cipressino (“e mangiare col riso un tacchino”). E senza il timore che ti venga il bruciore di stomaco, cosa che, l’ho notato, Saša Čërnyj fa venire a molti babbei esoterici.
[Venedikt Erofeev, Saša Čërnyj e gli altri, in Mosca-Petuški e altre opere, cit., p. 208]