Dunque
Dunque, sotto i Tcheu, non importava niente che l’Impero fosse forte o giusto, o qualsiasi cosa del genere, poiché l’Impero, al di fuori del suo essere, non aveva finalità. Importava soltanto che giorno per giorno esso continuasse a essere esattamente quello che era, fino a stancare in qualche modo il tempo. Il fatto è che in un certo senso il tempo, che poteva in ogni momento far nascere la variazione, era il solo nemico che l’Impero dovesse temere, ma poiché era temibile solo in funzione della variazione, bastava che si trionfasse su quest’ultima per impedire al tempo di essere un divenire. Inoltre si considerava come un crimine contro lo Stato ogni tentativo di introdurre nei riti una, per quanto minima, modificazione. Agli uomini era lasciata solo la vita interiore, e solo a condizione che niente ne trasparisse, né dolore, né gioia, se non conformemente ai principi che regolavano l’espressione del dolore e della gioia. Val la pena, in primo luogo, apprezzare altamente tutto quello che una simile politica contiene di soddisfacente per lo spirito e di grandiosa ambizione, poiché opponendosi con decisione alla variazione, si pretendeva di sconfiggere proprio la morte. In realtà, però, le si rendeva la parte troppo bella, perché senza dubbio impedire il divenire non significa tanto assicurarsi l’essere quanto svezzarsi dalla vita. Certo, non bisogna ignorare che cosa incompleta e precaria è la vita: nata da una tensione nella materia inorganica, essa è, per natura, votata alla distruzione; ma appartiene alla sua natura anche lo spingere all’estremo questa tensione e solo dopo un parossismo ricadere nell’inerzia, aspirare a scendere solo una volta giunta al culmine.
[Roger Caillois, Nascita di Lucifero, traduzione di Riccardo De Benedetti, Milano, Medusa 2002, pp. 21-22]