Du cubisme

sabato 25 Ottobre 2008

Quest’estate, a Seneghe, c’è stato un incontro con dei musicisti sardi dove a un certo momento uno di questi musicisti, che adesso fa il pittore, se non sbaglio, e si chiama Salvatore Garau, ha raccontato che loro dei Salis & Salis, che è il gruppo dove suonava lui, e è un gruppo che in Sardegna ancora oggi son molto famosi, han conosciuto gli Stormy six, che è il gruppo dove ha suonato dopo, per via che gli aveva telefonato per chiedergli l’impianto la Fgci, che organizzava un concerto degli Stormy six a Nuoro, se non ricordo male, e a quel punto Giacomo Serreli, che coordinava l’incontro, ha detto, rivolto alla gente, La Federazione Giovani Comunisti Italiani, e Salvatore Garau ha detto Eh, perché, cosa pensavi? e Serrali ha detto No magari qualcuno poteva pensare alla Federazione Italiana Gioco Calcio.
Che questa cosa che oggi quando uno dice Figicì vien più da pensare alla Federazione Italiana Gioco Calcio che alla Federazione Giovani Comunisti Italiani, a me è sembrato che avesse magari un significato, e mi è tornata in mente una cosa che mi era successa una volta, starà stato il novantatrè, ero appena tornato in Italia dalla Russia dove ero stato sei mesi a trovar materiale per la mia tesi, e avevo studiato anche parecchie cose di arte moderna, e avevo letto anche Du cubisme, di Gleizes et Metzinger, che è forse il primo saggio mai uscito sul cubismo, che in Russia, nel 1912, anno della sua uscita, aveva avuto due traduzioni, una a Mosca, una a San Pietroburgo, e avevo visto molti quadri cubisti, e avevo letto diverse cose sul cubismo e sull’impatto che il cubismo aveva avuto nella Russia dei primi del novecento, c’era stato un filosofo, che si chiama Berdjaev, che dopo aver visto una grande mostra di Picasso aveva scritto un libretto intitolato La morte dell’arte, se non ricordo male, che a leggerlo sembrava che quella mostra lì di Picasso per Berdjaev era stata un’esperienza che gli aveva cambiato il modo di vedere il mondo, a Berdjaev, che era ed è uno dei più considerati filosofi russi dell’epoca, e io, tornato in Italia, una volta, nel novantatrè, ero passato davanti alla televisione e avevo sentito che parlavano di una cubista e avevo detto Guarda, parlano di una pittrice, e mi ero fermato a ascoltare e avevo scoperto che parlavano di una che ballava sui cubi e c’ero rimasto malissimo.