Due domande

lunedì 23 Luglio 2012

Una scelta stilistica del suo racconto “Chissà se possiamo” è la mancanza di segni di interpunzione nei discorsi diretti, ce la può motivare? Anche le continue ripetizioni vogliono rimarcare le nevrosi del protagonista?

Per la mancanza di virgolette, io scrivo senza virgolette dal 1999, e adesso non mi ricordo perché, di preciso, ma mi sembra che quando ho letto i primi romanzi di Luigi Malerba, dove per il discorso diretto non ci son virgolette, ho pensato che era un bellissimo modo,di rendere il discorso diretto, con la maiuscola a indicare l’ingresso della voce, e mi sono ricordato di un paio di russi dei primi del novecento che avevo studiato (Velimir Chlebnikov e Daniil Charms) che anche loro spesso facevano così, non usavano virgolette e (non solo per questo) mi piacevan moltissimo. Per via delle ripetizioni, proprio stamattina ho letto il pensiero numero 25 dei Pensieri di Pascal che comincia così (metto le virgolette): «Quando in un discorso si trovan parole ripetute e, tentando di correggerle, esse appaion così appropriate che a sostituirle lo si guasterebbe, bisogna lasciarle stare».

[due domande sul racconto Chissà se possiamo, uscito in un’antologia di Guanda sulla follia]