Dev’esser stato ben solo

giovedì 24 Gennaio 2013

Doveva cominciare alle 18 e 30, alle 17 e 30 non c’eran più posti a sedere, solo le prime due file che erano riservate. Tutto pieno, anche sulle scale, anche al primo piano, anche al secondo. Un mio amico che ci lavora mi ha detto che, più o meno, c’era la stessa gente che c’era stata, un anno prima, quando era venuto Fabio Volo a presentare il suo ultimo libro che ne aveva poi vendute più di cinquecento copie. Adesso lui, D’Alema, era la presentazione del libro di D’Alema alla libreria Coop Ambasciatori, a Bologna, e lui, D’Alema, cinquecento copie non le ha mica vendute, però di gente ce n’era tantissima. Io mi sono seduto che mancavan quaranta minuti, mi sono messo a leggere un libro che avevo appena comprato che aveva un titolo bellissimo, secondo me, si intitolava Il secondo amore. Che a me faceva venire in mente quel film su quel chitarrista che di se stesso diceva di essere il secondo chitarrista più bravo al mondo; e quel romanzo su Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla luna. E avevo cercato il racconto che dava il titolo al libro e avevo letto: «Andammo in un parco, ci sedemmo in un viale fuori mano, non perché avessimo gesti o parole da nascondere agli altri, ma per incoraggiare noi stessi a trovare quei gesti e quelle parole. Verde, oscurità e silenzio all’intorno, ma anche l’ombra fitta che ci avvolgeva era imbevuta di sole». E intanto che leggevo la gente cresceva e cresceva l’attesa, e sembrava l’attesa della bellissima dama, e invece era l’attesa di D’Alema. «Hai visto l’ultimo sondaggio di Mannheimer?» sentivo dire dietro di me. Carlo Galli, docente di storia delle dottrine politiche che avrebbe dovuto presentare, andava avanti e indietro e aspettava, nervoso. E io prendevo l’altro libro che avevo appena comprato, che era un libro famoso, di poesie, e c’era una poesia che cominciava così: «Stupefatto dal mondo mi giunse un’età / che tiravo gran pugni nell’aria e piangevo da solo. / Ascoltare i discorsi di uomini e donne / Non sapendo rispondere, è poca allegria», che era un inizio che mi ricordava me stesso quando avevo dodici o tredici anni e mi commuoveva. Dopo arrivava D’Alema. Applausi E Carlo Galli poteva cominciare. E cominciava, e dopo dieci minuti che parlava dal pubblico si sentiva dire: «Vogliamo sentire D’Alema». E Carlo Galli non faceva quasi neanche una piega, arrossiva solo un po’ e andava avanti altri cinque minuti e alla fine diceva «E la domanda che vorrei fare a D’Alema», e dal pubblico si sentiva «Ooh!» «Era ora!», e la domanda aveva a che fare con una linea di superamento di non so cosa, non la capivo tanto bene. E D’Alema, secondo me non la capiva neanche lui, perché non è che rispondesse, faceva un discorso, quaranta minuti, che parlava di tante cose, anche della sua barca, che mi sembra che non l’abbia più, ma più che altro sembrava molto contento, di parlare, sembrava che non l’infastidisse niente, sembrava che avesse, questo fatto che non si presentava, alle elezioni, sembrava come se gli avesse dato più forza, anche quando gli gridavan «Vergognati», non faceva neanche una piega, non diventava neanche rosso, andava avanti come se niente fosse, con tutti dei gesti che sembravano nuovi, sembrava cercasse col pubblico una nuova relazione, come gli innamorati di Joseph Roth, Il secondo amore, solo che poi, verso la fine, gli scappava di dire che dei politici, lui non sapeva bene che cosa fossero, che per quel che ne capiva lui nell’ultimo parlamento ce n’eran stati cinque o sei, e che in quello nuovo ce ne sarebbero stati due o tre, e che gli altri sarebbero usciti, e uno di quelli che erano usciti, secondo lui, era lui, e questo fatto di dover dire, ma tutte le volte, com’era bravo, di dovere sottolineare che lui, veramente, era uno dei più bravi, altro che Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla luna, lui avrebbe voluto essere, era evidente, come Fausto Coppi nella Banda dei sospiri di Gianni Celati, che al giro di Francia era arrivato primo, secondo e terzo in classifica. E mi veniva da pensare alla prima poesia di quel libro di poesie famoso che avevo comprato, una poesia che si intitolava I mari del sud, ed era dedicata «a Monti» e diceva: «Tacere è la nostra virtù / Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo / – un grand’uomo tra idioti o un povero folle – / per insegnare ai suoi tanto silenzio».

[uscito ieri su Libero]