Degli altri strumenti

lunedì 16 Giugno 2014

gipi 5
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non so chi sia stato a proporre come candidato al premio Strega il romanzo a fumetti unastoria, di Gipi (Coconino press); chiunque sia stato, per conto mio, han fatto bene. A me unstoria sembra un libro fatto a mano, nel senso in cui si usa questa espressione a Parma, dove, per dire a una ragazza che è bella, per farle un complimento, le si dice «Sei fatta a mano»; ecco, unastoria di Gipi a me è sembrato un libro commovente non per quel che racconta, per il modo in cui lo racconta, e se lo prendete e lo aprite a pagina 60 e 61 forse capite quel che voglio dire, ma non è di quello che voglio parlare.
La cosa di cui voglio parlare è il fatto che, con questa candidatura, ho avuto l’impressione che il premio Strega, che è un’istituzione che nella mia testa è un po’ datata, un po’ antica, un po’ agée, come forse si dice, facesse un salto nella contemporaneità, ci sorpassasse, ci mettesse davanti al fatto che i libri, in questi anni, sono cambiati, che gli scrittori hanno a disposizione anche degli altri strumenti, oltre a quelli tradizionali del lessico, della sintassi, della retorica eccetera eccetera.
Ecco io ero talmente preso, nella mia testa, da questa novità, che pensavo che unastoria l’avrebbe vinto, il premio Strega, e quando, l’altro giorno, sono usciti i cinque finalisti, a vederne l’elenco (Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura, Feltrinelli; Antonio Scurati, Il padre infedele, Bompiani; Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti, Einaudi; Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace, Ponte Alle Grazie; Antonella Cilento, Lisario o il piacere infinito delle donne, Mondadori), a me è venuta in mente l’Unione Sovietica e il fenomeno del Samizdat.
Che in Unione Sovietica, dalla fine degli anni ’50, i libri proibiti, i libri come Il maestro e Margherita, di Bulgakov, o come le raccolte di poesie della Cvetaeva, dall’Achmatova, di Mandel’štam, di Chodasevič, o come lo straordinario romanzo Mosca-Petuški, di Venedikt Erofeev, o come gli scritti per adulti di Daniil Charms, questi libri qua, anche se non erano stati pubblicati, e non era possibile pubblicarli, venivano letti attraverso il processo del samizdat, che consisteva, in sostanza, nel far delle copie del dattiloscritto, a casa propria, con la macchia da scrivere e la carta carbone, e distribuirle.
Lo scrittore Sergej Dovlatov ricorda che, in Unione Sovietica, c’era stato un momento che la pratica del samizdat era diffusa come la pratica dell’alcolismo, che in Unione Sovietica era abbastanza diffuso, come si sa; quando qualcuno compiva gli anni, ricorda Dovlatov, e bisognava fargli un regalo, se gli si regalava un libro non gli si poteva regalare un libro ufficiale, pubblicato, era considerato un comportamento poco educato, bisognava regalargli un libro in samizdat, cioè dattiloscritto, non ufficiale, e si raccontava la storia, dice Dovlatov, di una signora che era andata dall’insegnante di russo di suo figlio e gli aveva detto che il figlio non voleva leggere Guerra e pace, di Tolstoj, e l’insegnante le aveva chiesto «Eh, e io cosa posso farci?». «Non ne avrebbe una copia in samizdat? – gli aveva chiesto la signora. – Quella lì la leggerebbe».
Mi ricordo, a Mosca, la mia insegnante di russo, agli inizi degli anni novanta, mi aveva trovato una appartamento in centro, in un palazzo celebre, dietro il Cremlino, «Ne parla Trìfonov in un romanzo, – mi aveva detto, – La casa sul lungofiume, l’hai letto?», mi aveva chiesto, «No, – le avevo detto io – tu l’hai letto?», «Per forza l’ho letto, – mi aveva detto lei, – era proibito».
Ecco; anche se di quei libri lì, della cinquina dello Strega, ne ho letto solo uno, quello di Piccolo (che ho recensito qui sopra e che mi ha molto sorpreso, tra le altre cose, per il modo in cui finisce, visto che finisce con Piccolo che dice che a lui non gli interessa più pensare), anche se ne ho letto solo uno ho come l’impressione che, paragonati col libro di Gipi, siano tutti dei libri ufficiali, dei romanzi ufficiali, dei romanzi-romanzi che se ne regalassi uno a un mio amico, per il suo compleanno, un po’ credo che, conoscendo i miei amici, si offenderebbero, mentre il libro di Gipi mi sembra l’equivalente, contemporaneo, del samizdat, un romanzo fatto a mano, centrifugo, marginale, consonante al carattere centrifugo e marginale del mio esiguo e poco significativo gruppo di amici e al carattere centrifugo e marginale della pratica romanzesca (nel senso dell’attività di scriver romanzi); i giurati del premio Strega, quest’anno, mi sembra abbiano fatto una scelta centripeta, di restaurazione, da nomenklatura, anche se mi rendo conto che dir questa cosa senza aver letto quattro dei cinque libri che han scelto non è molto sensato, allora oggi, stamattina, prima di venire a casa a scrivere questo pezzetto, per fare una cosa sensata sono andato in libreria ho comprato gli altri quattro e adesso li leggo e poi dopo vediamo.

 

[uscito ieri su Libero]