Così
Il giorno che ho scritto questo pezzetto, giovedì 8 ottobre, è il giorno che è uscito un romanzo che ho scritto io e è stato un giorno stranissimo perché mi sentivo un po’ come il protagonista del romanzo che si chiama Ermanno Baistrocchi e che diceva di sentirsi come lo scrittore Maurizio Salabelle. «Mi viene in mente uno scrittore che si chiamava Maurizio Salabelle, scriveva Baistrocchi dentro il romanzo, che il giorno che è uscito il suo primo romanzo, quando è uscito di casa, è andato nella direzione opposta rispetto alla direzione in cui andava di solito, perché di solito andava in direzione della libreria, ma se fosse andato quel giorno in direzione della libreria gli sarebbe sembrato che tutti quelli che l’avessero guardato avrebbero pensato “Guarda quello lì, ha proprio la faccia di uno che sta andando verso la libreria perché è il giorno che è uscito il suo primo romanzo”. Solo che, diceva Salabelle, scriveva Baistrocchi, andando nella direzione opposta alla direzione in cui andava di solito, quel giorno che era uscito il suo primo romanzo, aveva l’impressione che tutti quelli che l’incontravano pensassero “Guarda quello lì, ha proprio la faccia di uno che sta andando nella direzione opposta alla libreria perché è il giorno che è uscito il suo primo romanzo”, ecco, secondo me, devo dire, aveva ragione Salabelle, eravam tutti malati e non c’era cura, ammesso che Salabelle intendesse che eravam tutti malati e che non c’era cura», scriveva Baistrocchi, pensavo io giovedì 8 ottobre intanto che non mi decidevo a uscire di casa che sarebbe stato forse un problema, farmi vedere, quel giorno lì. E quel giorno lì, dopo, alla fine, è stato anche il giorno che ho ricevuto una mail di un critico che l’aveva già letto, il romanzo che era uscito quel giorno, e mi aveva detto che l’avevan colpito tre parole, dentro il romanzo: errore, anestesia e stupore, e mi aveva chiesto cosa evocavano a me, quelle parole, e io gli avevo risposto che errore, c’era un libro molto bello di Viktor Šklovskij, sull’errore, L’energia dell’errore, si intitolava, e dentro quel libro Šklovskij parlava di Tolstoj e degli errori che avevano generato Anna Karenina e Guerra e pace e quello era un libro dove c’era anche scritta, tra le altre cose, questa cosa qua: «E come è sacro per me il ricordo di un bambino di due anni e mezzo che, tornando da fuori tutto agitato, senza che facessimo in tempo a togliergli il cappuccio, mi si avvicinò e disse: “Papà, ho scoperto che i cavalli non hanno le corna”; aveva fatto una scoperta», che è una cosa che forse non c’entra ma mi piace tanto. Anestesia, invece, avevo scritto a quel critico, che si chiamava Andrea, è una parola che usa Perec quando dice che noi «dormiamo la nostra vita di un sonno senza sogni», e io mi ci ritrovo perfettamente, avevo scritto. E stupore, avevo scritto poi dopo, che io collego alla pratica della scrittura (scrivere per me è come farsi crescere dentro la pancia una piccola macchina per lo stupore) è il sentimento, se così si può dire, che mi sveglia, che mi costringe a guardare, che mi mette di fronte all’evidenza del fatto che io non so niente e che sono un coglione, e son dei momenti così belli. E dopo poi, niente, mi sembra di aver detto tutto, basta così.
[Uscito ieri su Libero]