Congetture

sabato 14 Novembre 2009

Sto lavorando agli apparati di un romanzo che esce a febbraio. In rete, di questo romanzo, sui siti di qualche libreria elettronica, c’è già un riassunto, preso dalla scheda del copertinario Einaudi e firmato da me. Anche se è firmato da me, quel riassunto lì a me non sembra d’averlo scritto io, perché hanno tagliato dei pezzi, troncato delle frasi, omesso delle formule dubitative che erano, anche, un po’ il senso del pezzo che avevo dato alla casa editrice (si intitolava Congettura ipotetica sui malcontenti). Incollo qua sotto un riassunto meno ipotetico e più aderente, mi sembra, al romanzo:

La scena centrale di un film di Lubitsch è una scena in cui il protagonista maschile, innamorato di una donna che ha conosciuto negli Stati Uniti e che è misteriosamente scomparsa, rifugiatosi, se così si può dire, a Londra, invitato a pranzo da un membro del suo club, scopre che la moglie del suo amico è la donna di cui lui è innamorato. Questo pranzo viene raccontato da Lubitsch senza riprendere i protagonisti e senza riprendere nemmeno la sala da pranzo: viene raccontato dalla cucina, attraverso i commenti di cuoco, cameriere e maggiordomo sullo stato in cui le varie pietanze rientrano dalla sala da pranzo, e il racconto è perfettamente esaustivo e lo spettatore ha l’impressione di essere davanti a un triplo salto mortale molto ben eseguito.

Ecco, intanto che scrivevo i Malcontenti mi è venuto da pensare che io stavo provando a fare, si parva licet, come si dice, una cosa del genere: la storia principale che si racconta nei Malcontenti è la storia della relazione tra due ragazzi poco meno che trentenni, che appena usciti dall’università e dallo spaesamento post universitario provano a entrare,  come si dice, nel mondo. Questo ingresso, che ha a che fare con un festival strampalato che si chiama Il festival dei malcontenti, viene raccontato da uno che abita sotto di loro, uno che di quella relazione e di quell’entrata nel mondo vede in un certo senso solo i riflessi, i raggi che partono da quell’appartamento e che arrivano fino a lui in forma di suoni, rumori, umori, confessioni, reticenze e richieste d’aiuto.

Il mondo in cui questi personaggi si muovono è un mondo stranissimo, un mondo nel quale il compito di chi ha meno di cinquant’anni non è di contribuire a un perfezionamento del mondo stesso, né (ci mancherebbe) a un ribaltamento, né a un qualsivoglia cambiamento di rotta.

In questo mondo, quello che, da quarant’anni, si chiede a chi a questo mondo si affaccia, è di mettersi lì e di non rompere troppo i maroni.

E loro, bravissimi, si mettono lì e non rompono troppo i maroni.