Con la grazia di un cigno

lunedì 3 Aprile 2017

Osservare l’entrata di un cameriere nella sala da pranzo di un albergo è uno spettacolo istruttivo. Varcando la porta avviene in lui un improvviso mutamento. Cambia l’assetto delle sua spalle; tutto lo sporco, la fretta e l’irritazione spariscono in un attimo. Con solenne aria sacerdotale egli scivola sul tappeto. Ricordo il nostro maître d’hotel in seconda, un focoso italiano, fermarsi sulla porta della sala da pranzo per rimproverare un apprendista che aveva rotto una bottiglia di vino. Agitando il pugno sopra la testa si mise a gridare (per fortuna la porta non lasciava quasi passare i suoni): «Tu me fais… Ti ritieni un cameriere, pezzo d’animale? Tu sei un cameriere! Non saresti nemmeno capace di lavare il pavimento del bordello da dive viene tua madre… Maquereau!». Mancandogli le parole si volse verso la porta e, parendola lanciò un insulto finale come Squire Western in Tom Jones.
Poi entrò in sala da pranzo scivolando con la grazia di un cigno recando un vassoio in mano: dopo dieci secondi s’inchinava ossequiosamente davanti al cliente. Guardandolo inchinarsi e sorridere con il benevolo sorriso del cameriere ben addestrato, non si poteva fare a meno di pensare che l’avventore provasse una certa vergogna nell’esser servito da un simile aristocratico.

[George Orwell, Down and Out in Paris and London, London, Secker & Warburg 1951, pp. 68-69, citato in Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, traduzione di Margherita Ciacci, Bologna, il Mulino 1969, pp. 142-143]