Con calma

domenica 4 Novembre 2012

Con calma, lentamente, rimisi mio padre nel cassetto.
«Non mi lasci mai fuori, la sera» si lamentò, con quel suo fare cruccioso e villano, che per un instante mi diede fantasia di stritolarlo pian piano nella mano, farmene colare il sangue di pipistrello per le mani. Gli risposi con calma; da piccolo, ho studiato coi Fratelli Cristiani.
«Lo sai che ti fa male.» Tacqui. «Sei vecchio,» aggiunsi affettuosamente «presto sarai morto comunque; allora ti metteremo a putrefarti sugli alberi, tra le belle foglie dell’ippocastano.»
«Sì, tel chì l’ippocastano» disse mio padre con quella sua voce milanese, odiosa e codarda. «Anche l’altra volta me l’avevi promesso, poi me l’hai messa nel culo, l’ippocastano.»
Rabbrividii. Quando avevamo circa la stessa età, ma io ero insieme più forte e più incauto perché ero morto un minor numero di volte, spesso mi accadeva di percuotere selvaggiamente mio padre per ore, con cinghie, bastoni, grossi chiodi, vetri rotti, specialmente sulle gengive e sui genitali, che egli ha grandissimi, e che ama dipingersi in modo esibizionistico. Lo picchiavo perché bestemmiava, facendo soffrire mia madre e, in breve, tutto il suo discorso non era che un turpiloquio immondo, tanto che districare il senso da quel suo orrendo vaniloquio era impresa angosciosa. Feci, sperma, Dio, orina, empietà da suburra accerchiavano qualunque sua frase, anche povera e inetta, ed egli era in ogni momento separato dai suoi simili da una barriera di labirintiche fognature.
«Ricordi» ripresi con dolcezza «che allora morì anche nostra cugina Aurelia.»
«Quella vacca» disse mio padre non senza dolcezza.

[Giorgio Manganelli, Sconclusione, Milano, Rizzoli 1976, pp. 5-6]