Comprare la verità

giovedì 22 Giugno 2017

La filosofia viene intesa solitamente come ricerca della verità. In questo senso, nella nostra epoca, viene esercitata di rado, specie per due ragioni. In primo luogo, studiando la storia della filosofia si giunge alla conclusione che la verità è irraggiungibile e che perciò è poco sensato dedicarsi alla sua ricerca. E in secondo luogo, si ha la sensazione che, qualora la verità esistesse, trovarla sarebbe solamente metà dell’opera. Molto più difficile sarebbe vendere la verità che abbiamo scoperto, per riuscire a garantirsi condizioni di vita relativamente sicure. E, come insegna l’esperienza, a questo compito non si sfugge. L’odierno mercato della verità sembra essere più che saturo. Il potenziale consumatore di verità deve fare i conti con lo stesso surplus presente in altri segmenti di mercato. Da ogni parte veniamo regolarmente subissati dalla pubblicità della verità. Troviamo verità ovunque e in tutti i media: verità scientifiche, religiose, politiche o concernenti la vita pratica. Così, chi cerca la verità sa di avere scarse possibilità di portare tra la gente il tesoro che potrebbe trovare e al momento buono abbandona la ricerca. Per quanto riguarda la verità, l’uomo odierno ha dunque maturato due convinzioni di fondo: che non esiste alcuna verità e, al contempo, che ne esistono troppe. Queste due convinzioni sembrano contraddirsi a vicenda, ma entrambe portano alla stessa conclusione; la ricerca della verità non è un buon affare.
Ebbene, la scena dell’odierna ricerca della verità, così come l’abbiamo descritta, coincide con la scena originaria della filosofia. In piccolo, questa scena avremmo potuto osservarla nell’agora greca, nel periodo in cui i primo consumatore esemplare di verità, ossia Socrate, cominciò a esaminare l’offerta di verità presente sul mercato. Erano i sofisti che affermavano di aver trovato verità. E le mettevano in vendita. Socrate però, come è noto, non si definiva sofista, ma filosofo, colui cioè che ama la verità (la sapienza, la conoscenza, la Sophia), ma non la possiede. Oppure, in altri termini, colui che non ha da vendere alcuna verità, ma che al contempo è disposto ad acquistarne una se solo riuscisse a convincersi di avere dinnanzi davvero la verità e non l’apparenza dei verità. Il passaggio dalla posizione di sofista a quella di filosofo è il passaggio dalla produzione di verità al suo consumo. IL filosofo non è un produttore di verità. Nemmeno è un cercatore nel senso dei cercatori di tesori o di materie prime. Il filosofo è un uomo semplice, della strada, perdutosi nel supermercato globale delle verità e che adesso tenta di orientarsi, quantomeno di trovare il cartello dell’uscita.

[Boris Groys, Introduzione all’antifilosofia, traduzione di Stefano Franchini, Milano Udine, Mimesis 2013, pp. 7-8]