Come scrivere un romanzo rosa in una settimana

martedì 29 Maggio 2012

Qualche settimana fa, a Torino, in un albergo per uomini d’affari, con un ascensore panoramico e delle opere d’arte moderna e contemporanea, tra le quali un divano a forma di bocca, con i denti, e la lingua, in quell’albergo lì, qualche settimana fa, c’è stata una riunione in cui la casa editrice Einaudi presentava le novità ai promotori, e l’ultima novità che hanno presentato è stato un libro di Stefania Bertola che si intitolava Come scrivere un romanzo rosa in una settimana.
Ecco: io, ci son dei titoli che mi piaccion moltissimo, come Casalinghe disperate, o Ho servito il re d’Inghilterra, o Guerra e pace, o L’idiota, o Anna Karenina, o Delitto e castigo, o Splendori e miserie delle cortigiane, o Corso di filosofia in sei ore e un quarto, o Grammatica della fantasia, o La banda dei sospiri e quel titolo lì di Stefania Bertola mi era piaciuto molto anche quello e mi aveva colpito tanto che alla fine della riunione avevo fermato la Bertola e le avevo chiesto se, dopo aver letto il suo libro, sarei stato capace di scrivere un romanzo rosa.
E lei ci aveva pensato un attimo e poi mi aveva detto: «Sì». Allora adesso che è uscito l’ho preso e l’ho letto, anche se, devo dire, gli hanno cambiato titolo, adesso si intitola Romanzo rosa e la traccia del vecchio titolo resta nell’incipit («Per scrivere un romanzo rosa in una settimana ci vogliono otto giorni») e nel titolo di un laboratorio di scrittura che, nella finzione narrativa, si tiene al Circolo dei lettori di Torino.
Dopo averlo letto devo dire che Romanzo rosa è proprio un romanzo rosa e, contemporaneamente, è anche un anti-romanzo rosa; cioè con Romanzo rosa la Bertola mi sembra riesca a scrivere un romanzo rosa e a prendere, nello stesso tempo, le distanze dai romanzi rosa, incluso quello che sta scrivendo che è una cosa che a farla ci vuol del talento, secondo me.
C’è una paginetta, per fare un esempio, in cui la Bertola ci fa leggere gli appunti che la docente che tiene il corso “Come scrivere un romanzo rosa in una settimana”, Leonora Forneris, passa ai partecipanti a proposito dei nomi da usare nei romanzi rosa (che, in Romanzo rosa, si chiamano I Melody):
«Nomi Non ricorrete, se possibile, a nomi classici, normali, o comunque esistenti. Le protagoniste dei Melody devono avere nomi unici, che facciano sognare, addirittura nomi che nessuno mai ha portato nella banale vita quotidiana. Ottimi sono nomi di fenomeni atmosferici, nomi di luoghi geografici, o semplicemente parole che non sono nomi, o insieme di sillabe che non sono parole:
Tempest, Dakota, Lutecia, Nyree, Alisea, Sabaka, Girasol. Ogni tipologia di Melody ha naturalmente dei nomi particolarmente adatti: le protagoniste degli Hot Fire, la serie soft porno, sfoggiano spesso il TH, come in Althea, Thuya, Thamassyn, o addirittura il doppio TH, come in Thabitha. I maschi si chiamano preferibilmente Gavin, Dexter, Ford, Damon, Ryan, Gericho… Evitare Paul, John e George. Al limite, Ringo. Anche qui, le sillabe a caso e i nomi di luogo possono funzionare: Yuvil, Wyoming, Roshko, Krugg. Se proprio volete utilizzare per il vostro eroe un nome normale, lo renderete particolare con la desinenza “us”: Marcus, Julius, Simonus, Pierus. Ottima anche l’iniziale K, a svecchiare degli evergreen: Karl, Kaspar, Kristian. Splendido il binomio K più us: Kamillus».
Si scoprono un sacco di cose, a leggere Romanzo rosa: che 17 anni è l’età perfetta per restare orfane in un Melody, che la protagonista di un Melody deve ansimare dopo le primissime righe, che se uno vuole generare aspettative, è meglio che diventi un autore intellettuale, che per scrivere un Melody è indispensabile scegliersi uno pseudonimo, che questo pseudonimo non può essere Giovanna Mongilardi e che «se il cognome è italiano, deve essere molto stereotipato, e accompagnato da un nome molto evocativo: Sandeleen Mancuso, per esempio, piacerà», e si intusice anche, alla fine, che scrivere un Melody è possibile, ma scriverne uno così ben architettato come Romanzo rosa dev’essere molto faticoso, e non è indipensabile, e che uno, se ha inclinazioni diverse può fare anche delle altre cose, per esempio scrivere un giallo, o, al limite, un noir, o, se proprio vuole, un romanzo d’autore, anche se «dovreste sentire che disprezzo, che scorno irridente ci mette Leonora Forneris nella semplice parola con preposizione “d’autore”. Le vengono i denti nella lingua».

[uscito oggi su Libero]