Chredino

mercoledì 4 Febbraio 2009

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CHREDINO

Località nota in primis per il crollo del poderoso muro di cinta della chiesa locale, avvenuto, a nostra memoria, in epoca neanche troppo lontana. A onor del vero bisogna riconoscere che già da alcuni anni il muro aveva perso solidità e stabilità – come dicono da queste parti, “si era di molto messo di sghimbescio” – e, secondo un’antica usanza russa, era stato puntellato con un paio di travi. Quei mattacchioni dei villeggianti della domenica che arrivavano da Pietroburgo si divertivano sempre a scommettere se il muro di cinta, eretto ancora prima della rivoluzione, sarebbe rimasto in piedi fino alla fine del millennio o se invece non ce l’avrebbe fatta. Tutta una burla, sì, ma purtroppo la cosa è andata poi a finire in tragedia. Mi riferisco alla storia della cosiddetta “apparizione del Cane Nero di Chredino”, diventato famoso in tutta la Russia e di cui diedero notizia le telescriventi di tutte le più importanti agenzie di stampa del pianeta. Secondo quanto raccontato dai numerosissimi testimoni oculari, il fatto si era così svolto: una sera, al crepuscolo, in una delle stradine di Chredino, era apparso un cane gigantesco, grosso quasi come un cavallo, occhi fiammeggianti di viola come un fornello a gas e pelo scintillante al chiar di luna. Correva silenzioso questo cane. Dalle fauci fuoriuscivano nuvole di vapore fetido e dal muso sbavava schiuma. Fece irruzione nella chiesa e sotto gli occhi di uno sparuto gruppetto di parrocchiani sbranò due vecchie monache. Tempo dopo si venne a sapere che le due vecchie avevano passaporto greco ed erano originarie dell’assolata isola di Lesbo. La mostruosa creatura, comunque, non si limitò semplicemente a sbranarle, ma con la velocità del lampo e la precisione del chirurgo, mozzò la testa delle due venerande lesbie che con un tonfo rotolò sul pavimento della chiesa. Solo dopo lunghe ricerche le teste furono ritrovate nell’angolo più buio della casa di Dio.

Una volta commesso l’efferato e agghiacciante delitto, l’orrendo cagnaccio era schizzato fuori della chiesa e, lanciato in corsa, con una sola zampata aveva ucciso anche il poliziotto di quartiere che in quel preciso momento si stava avvicinando al tempio, per abbattersi subito dopo, con la violenza di un carro armato lanciato a folle velocità, contro il suddetto muro di cinta facendolo crollare all’istante per tutta la sua lunghezza dopo che aveva retto per un buon millennio. Il fantasma si era dileguato. Uno dei chredinesi, che da giovane aveva prestato servizio nella divisione carristi Kantemirovskaja dell’Armata Rossa, affermò di aver avuto la netta sensazione che sulla strada stesse sfrecciando il suo glorioso T-70: la terra tremò e sussultò, dai nidi sugli alberi le cornacchie si involarono gracchiando lungo il ciglio della strada, i cani ulularono spaventosamente e i gatti soffiarono e sputarono. La cosa più terribile, però, fu che in tutte le case del villaggio non solo stoviglie e vasellami vari caddero giù da credenze e scaffali, ma saltarono via anche i tabernacoli con le icone dagli angoli di devozione, e i muri, dietro le icone, trasudarono misteriose lettere color sangue (con molta probabilità, caratteri runici).

[Ja. M. Sen’kin, Ferdinand, o il viaggio da Pietroburgo al nulla, tr. it. Roberto Lanzi, Roma, Voland 2009, pp. 15.17.
Ho appena comunicato a leggerlo; sembra un libro di viaggio, resoconto di un viaggio nella regione di Pskov, tra Ludoni e Porchov, solo che, anziché raccontare quello che succede e la gente che incontra, l’autore (Sen’kin sembra sia lo pseudonimo di Uno storico di grande fama in Russia, rievoca episodi storici di ognuno dei villaggi che incrocia. Quello che ho messo qua sopra è l’inizio del terzo capitolo]