Che non si vedano le corde

sabato 17 Novembre 2012

L’altro giorno, a Reggio Emilia, son montato su un treno con tre borse a tracolla, ero un po’ ridicolo, probabilmente, vestito di nero, braghe nere, maglia nera, scarpe nere, calze nere, giacca nera, tre borse nere, andavo a Prato Centrale, era un treno intercity e i treni intercity a me non piacevano affatto e avevo preso un posto in prima classe che almeno ero sicuro di trovare posto, costava pochissimo, in più, e quando ero entrato nello scompartimento, e nessuna delle tre donne che ci eran sedute avevano risposto al mio saluto, come se loro, per il fatto di essere lì da prima, avessero diritto a star lì e io fossi un intruso vestito di nero, quando era successo così mi era tornato in mente uno svizzero che diceva che a lui, la seconda classe, c’era un suono che era più adatto alle sue orecchie, rispetto alla prima, e ero stato contento, mi faceva un po’ male la pancia ma ero stato contento, trattenevo un sorriso che manifestava un certo senso di superiorità, che era una cosa che forse sarebbe stato meglio non manifestare, non so. Quello era un periodo, l’altro giorno, che non avevo da sentirmi superiore a nessuno, neanche alle signore piacevoli da tutti i punti di vista che popolavano, coi loro silenzi, le prime classi dei treni intercity con l’aria condizionata, ma poco, i sedili grigi a pois bianchi, gli specchi un po’ sporchi di colla, nel mezzo, e un silenzio di treno più adatto alle orecchie di non so chi e che io riempivo, di tanto in tanto, con un tirar su di naso da manovale.
Quello era un periodo, l’altro giorno, che non facevo le cose, non i romanzi e gli articoli, i romanzi e gli articoli sì, li facevo, ma il fare i romanzi e gli articoli era come se nella mia testa mi permettesse di non fare delle altre cose che facevo quando stavo bene e che mi facevan star bene, era un po’ complicato, non si poteva spiegare, basta dir che ogni tanto mi trovavo nel mondo, nel mio mondo, nel senso, come fossi un austriaco. Mi era successo anche delle altre volte, mi ricordo una volta, avevo vent’anni, ero ad Amsterdam, ero in vacanza e ero lì, perso in un quartiere residenziale, guardavo la gente che andava, veniva, impermeabili, occhiali, borse di pelle, tutti sembravan sapere benissimo quello che stavan facendo, tutti avevano una famiglia, dietro i portoni, tutti avevano una direzione, un lavoro e io ero lì, da solo, austriaco, a guardare dentro la mia vacanza poco sensata che doveva durare, era meglio non pensarci, altre due settimane. Ecco. Adesso, l’altro giorni, tutti i giorni, più o meno, era così, avevo pensato l’altro giorno su quel treno intercity che da Reggio Emilia mi stava portando a Prato Centrale.
Che poi mi ero trovato davanti alla porta di un albergo, ero lì fermo a aspettar che si aprisse, e la porta non si apriva. E io avevo pensato “E be?”. Poi avevo preso la maniglia, l’avevo abbassata, si era aperta la porta.

[uscito ieri su Libero]