Che la realtà sia realistica, che la natura sia naturale

mercoledì 3 Febbraio 2016

Giorgio Manganelli, Ufo e altri oggetti non identificati

Prevedere dove vanno a finire le frasi di Giorgio Manganelli è una cosa difficilissima. Nel libro Ufo e altri oggetti non identificati 1972-1990, da poco uscito per Mincione Edizioni per la cura di Raffaele Manica, si racconta di un momento in cui gli Ufo erano «quegli oggetti non identificati che consentivano a persone di instabile equilibrio nervoso e mentale, tra le quali» dice Manganelli «mi annovero, momenti di vana ma onesta eccitazione». Delle loro ipotetiche apparizioni restavano «sui giornali fotografie enigmatiche, come se le macchine fotografiche avessero scoperto le ambigue delizie dell’alcool: punti fosforescenti, cerchi, oggetti oblunghi». «Non c’è persona lievemente squilibrata» scrive Manganelli «che non abbia sperato di incontrarsi con quegli omarini cosmici, almeno di vedere le loro macchine volanti. Ovviamente» aggiunge «io preferisco crederci. Ma, ormai, non è questo il punto. Che cosa vuol dire questo loro ritorno, e in luoghi così umili, così appartati? Li hanno visti sulla Spezia, dove si mangia così male, scommetto che varrebbe la pena impiantare degli osservatori ad Alessandria o a Foggia. A trent’anni eravamo così fiduciosi, così disperatamente ansiosi di vederli scendere fra noi; dopo vent’anni sono un recupero, uno di quei repèchages cosmici che ogni tanto i fabbricatori della moda lanciano nella nostra via lattea, sempre più smaniosa, vizza e quagliata. Essendo un recupero di dubbio successo, cominciano con un giro in provincia; “Vediamo se alla Spezia fa effetto”, si saranno detti; “gli spezzini sono tutti d’un pezzo, se quelli si montano la testa passiamo subito all’Abruzzo e poi a Milano”». Questa antologia degli scritti di Manganelli contiene anche una prova dell’esistenza dei dischi volanti. «Non ho mai visto dischi volanti»  c’è scritto «e questa è l’unica prova a favore della loro esistenza che sono in grado di addurre. Infatti, se fosse un caso di psicosi collettiva, come qualcuno dice, non c’è dubbio che io ci sarei cascato. Insomma, se non ci fossero stati, io certamente li avrei visti. Ma non li ho visti, dunque non è improbabile che esistano». Un ribaltamento simile si ritrova in un articolo in cui Magnanelli parla dello sbarco sulla luna: «In questi giorni si fa un gran parlare di quella notte magata in cui, vent’anni fa, l’uomo, più esattamente il signor Armstrong, mise un piede sulla luna, e recitò il suo temino che si era preparato a casa. Ricordo quella notte perché io andai a dormire come al solito e non assistei allo spettacolo straordinario. Stupido vero? Assolutamente. Ma lo rifarei. Voglio dire che non fu una mirabile impresa? Certo che lo fu, ma io non amo le mirabili imprese. Ne ho paura»; nonostante questa paura, Manganelli è un grande lettore di fantascienza: «Per anni consumai fantascienza, come altri consuma whisky o cocaina». A questi due temi, i dischi volanti e la fantascienza, Manganelli imparenta le fate e gli gnomi: «Mi sembra che non abbia torto Carroll quando scrive – e suppongo fosse esattamente quello che pensava – di non provare alcun disagio mentale all’idea dell’esistenza delle fate. Vorrei aggiungere che la nostra diffidenza culturale nei confronti di qualcosa che pure continua ad affascinarci si fonda su due goffe tautologie: che la realtà sia realistica e che la natura sia naturale. La realtà include, dovete ammetterlo, i sogni, i numeri del lotto e il grande amore: quanto alla natura, non posso non pensare che esseri come la zebra – questa irriverente ed arcaica parodia della Juventus – come le farfalle, i pavoni, il colibrì, le lumache, siano nati dalla creatività di una natura per nulla interessata ad essere naturale».

[Uscito ieri su Libero]