Caio

mercoledì 26 Febbraio 2020

Quell’esempio di sillogismo che aveva studiato nel manuale di logica del Kiesewetter , Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, perciò Caio è mortale, gli era sembrato, per tutta la vita, valido solo in rapporto a Caio, e in alcun modo in rapporto a se stesso. Una cosa era l’uomo-Caio, l’uomo in generale, e in questo caso il sillogismo andava benissimo; ma lui non era né Caio né l’uomo in generale, ma era sempre stato un essere molto, molto particolare, molto diverso da tutti gli altri esseri; era stato Vanja, con la mamma, col papà, con Mitja e Volodja, con i giochi, con il cocchiere, con la njanja ; e poi con Katen’ka, con le gioie, i dolori, gli entusiasmi dell’infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza. Aveva mai sentito Caio l’odore del pallone di cuoio che al piccolo Vanja piaceva così tanto? Aveva mai baciato la mano alla mamma, Caio, e avevano mai frusciato così dolcemente, per Caio, le pieghe della seta del vestito della mamma? Aveva mai litigato, Caio, per le frittelle, all’istituto di giurisprudenza? E Caio, era mai stato innamorato? E sapeva, Caio, presiedere un’udienza in tribunale?
Certo che Caio è mortale, lui è giusto che muoia, ma io, piccolo Vanja, io, Ivan Il’ič, con tutte i miei sentimenti, i miei pensieri, io sono un’altra cosa. Non è possibile che mi tocchi morire. Sarebbe troppo orribile.
Questo sentiva.

[Mi hanno avvisato ieri che il prossimo giugno (salvo impedimenti) c’è la lettura integrale della Morte di Ivan Il’ič al Cimitero monumentale di Bologna]