Bisogna buttarsi

venerdì 31 Agosto 2012

Si è di fronte al vuoto, e tutt’a un tratto bisogna buttarsi. Tutt’a un tratto bisogna rifiutare di rinunciare. E poi… poi bisogna lanciarsi. Ho fatto tredici lanci e tredici volte mi sono lanciato. Tredici volte ho avuto voglia di rinunciare, ho avuto voglia di dirmi: «Bene, non fa niente, dopotutto, se adesso rifiuto, tanto ho il brevetto, non ha nessuna importanza, posso farmi vedere fifone». Non era esattamente questo… Credo che, se una sola volta ho avuto l’intuizione, ho avuto la sensazione di essere… diciamo: coraggioso – ma non nel senso banale, nel senso in cui si intende, nel senso del superamento continuo… era di fare questo atto assolutamente gratuito, di buttarsi nel vuoto da quattrocento metri, questo atto che aveva risonanze… fasciste. Davvero: risonanze fasciste. Perché il fatto di essere paracadutista, non è una cosa qualsiasi. Vuol dire vivere in un ambiente composto da individui che aspirano solo a una cosa, a distruggere continuamente la Repubblica. Ecco, insomma, l’Algeria dei colonnelli, sappiamo quello che è. Ebbene, bisognava nonostante tutto lanciarsi, perché se non lo avessi fatto, non credo che potrei essere qui stasera. Bisognava ad ogni costo che mi lanciassi nel vuoto, e che ad ogni costo accettassi quella difficoltà che adesso paragono alle difficoltà dei giorni a venire, che paragono alla situazione… forse perchè sono un intellettuale, perché sono portato a fare paragoni sempre un po’ particolari… Bisognava assolutamente lanciarsi. Non era possibile fare altrimenti. Era necessario saltare, necessario buttarsi per essere convinti che tutto ciò forse poteva avere un senso, poteva avere ripercussioni che perfino noi stessi ignoravamo. Su un piano del tutto individuale, per me, ciò ha avuto risonanze assolutamente incontestabili.

[Georges Perec, Sono nato, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1992, pp. 38-39]