In realtà
In realtà, io continuo a farmi una domanda superflua: cos’è meglio, una felicità da quattro soldi, o delle sofferenze inaudite? Eh? Cos’è meglio?
[Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, Roma, Voland 2012, p. 166]
In realtà, io continuo a farmi una domanda superflua: cos’è meglio, una felicità da quattro soldi, o delle sofferenze inaudite? Eh? Cos’è meglio?
[Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, Roma, Voland 2012, p. 166]
Quando un uomo è molto contento, il suo cervello, come è noto, non funziona un granché.
[Ivan Sergeevič Turgenev, Diario di un uomo superfluo, trad. di Alessandro Niero, Roma, Voland 2011, p. 27]
Un uomo intelligente non può seriamente diventare niente, diventano qualcuno solo i coglioni. Eh, sì.
[Fedor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, Voland, Roma 2012, p. 10]
“Decrescita” è una parola ignota a Mosca.
[Valentina Parisi, Guida alla Mosca ribelle, Roma, Voland 2017, p. 21]
Quando un uomo è molto contento, il suo cervello, come è noto, non funziona un granché.
[Ivan Sergeevič Turgenev, Diario di un uomo superfluo, trad. di Alessandro Niero, Roma, Voland 2011, p. 27]
Poco distante dal monumento-fantasma a Bakunin, si erge quello più reale a Lenin ginnasiale tuttora visibile nel giardinetto tra il civico 6 di pereulok Ogorodnaja Sloboda e Gusjatnikov pereulok. Opera di Vladimir Cigal’, il quale lo realizzò nel 1950, fu collocato solo vent’anni dopo davanti all’allora Palazzo dei Pionieri, per ricordare ai bambini moscoviti quale fosse il modello a cui ispirarsi. Imberbe, ma già consapevole della missione che lo attende, la futura guida del proletariato mondiale incede sicuro di sé nella sua tenuta scolastica, con un libro nella mano destra e la sinistra a reggere la giacca gettata con disinvoltura sulla spalla. Un’immagine in contrasto con l’iconografia tradizionale che, di regola, ritrae Il’ič ormai adulto, con l’immancabile berretto operaio calcato in testa e le braccia elevate in aria a incitare invisibili rivoltosi.
Abbattuto da un pioppo caduto durante un temporale il 18 luglio 2008, Lenin ginnasiale fu restaurato e rimesso al suo posto l’anno successivo, a conferma della immutata pietas dimostrata nei confronti del capo bolscevico. Un rispetto che evidentemente va al di là di congiunture politiche e revisionismi e fa sì che Mosca possa vantare tuttora una novantina di statue a Lenin. Singolare che, a svariate migliaia di chilometri più a est, davanti all’università di Kazan’ frequentata a suo tempo da Lenin, s’innalzi una copia assolutamente identica del monumento di Cigal’. Cosìcché sia a Mosca sia a Kazan’ il giovane Vladimir Ul’janov continua a marciare imperterrito verso il liceo classico i Simbirsk, da lui concluso a pieni voti con la medaglia d’oro nel 1887. Stampata in volta ha sempre la stessa aria antipaticuccia da primo della classe, quello che non lascia copiare i compagni e sa tutte le risposte. Una versione più ottimista reperibile sul web russo sostiene invece che assomigli a Leonardo Di Caprio.
[Valentina Parisi, Guida alla Mosca ribelle, Roma, Voland 2017, pp. 178-179]
Nella sua Città del Sole (1602), il frate domenicano Tommaso Campanella prefigurava una società utopica in cui le scuole sarebbero diventate superflue, perché “la Sapienza, con ordine ammirabile”, avrebbe fatto “adornare tutte le mura interne e esterne, superiori e inferiori di pregiatissimi dipinti raffiguranti tutte le scienze”. All’esterno del sesto girone, in particolare, sarebbero stati raffigurati “tutti i sommi uomini nelle scienze, nell’armi e nella legislazione”, cosicché i bambini. incoraggiati dai loro maestri a “imparare senza fatica, e quasi a modo di divertimento”, sarebbero stati in grado di distinguerne le sembianze fin dalla più tenera età. Di certo il frate visionario non poteva immaginare che da lì a tre secoli, in tutt’altra parte del mondo, un gruppo di suoi ammiratori avrebbe cercato di realizzare quel progetto, sia pur adattandolo alle condizioni specifiche del proprio paese. Secondo Anatolij Lunačarskij, Lenin si era ispirato infatti a Campanella, quando nel 1919 aveva deciso di disseminare in giro per Mosca e Pietroburgo slogan e citazioni, nonché busti e statue di personalità insigni e famosi rivoluzionari – il clima russo rendeva decisamente sconsigliabile la realizzazione di affreschi, come avrebbe voluto il religioso calabrese.
[Valentina Parisi, Guida alla Mosca ribelle, Roma, Voland 2017, p. 62]
Continuo a mettere in ordine ogni cosa.
Come mi sopporta Iddio non lo so.
[Ivan Kulekov, Senza tempo, senza ordine, senza indirizzo, a cura di Daniela Di Sora, Roma, Voland 2001, p. 118]
Domenica 16 maggio,
a Torino,
alla Fiera del libro,
alle ore 13 circa,
presentazione della collana
Sirin classica,
della casa editrice Voland,
in occasione dell’uscita dei primi due titoli,
Chadži-Murat, di Lev Tolstoj,
e Racconti, di Čechov,
con Daniela Di Sora,
Gianpiero Piretto,
Alessandro Niero
e Paolo Nori
CHREDINO
Località nota in primis per il crollo del poderoso muro di cinta della chiesa locale, avvenuto, a nostra memoria, in epoca neanche troppo lontana. A onor del vero bisogna riconoscere che già da alcuni anni il muro aveva perso solidità e stabilità – come dicono da queste parti, “si era di molto messo di sghimbescio” – e, secondo un’antica usanza russa, era stato puntellato con un paio di travi. Quei mattacchioni dei villeggianti della domenica che arrivavano da Pietroburgo si divertivano sempre a scommettere se il muro di cinta, eretto ancora prima della rivoluzione, sarebbe rimasto in piedi fino alla fine del millennio o se invece non ce l’avrebbe fatta. Tutta una burla, sì, ma purtroppo la cosa è andata poi a finire in tragedia. Mi riferisco alla storia della cosiddetta “apparizione del Cane Nero di Chredino”, diventato famoso in tutta la Russia e di cui diedero notizia le telescriventi di tutte le più importanti agenzie di stampa del pianeta. Secondo quanto raccontato dai numerosissimi testimoni oculari, il fatto si era così svolto: una sera, al crepuscolo, in una delle stradine di Chredino, era apparso un cane gigantesco, grosso quasi come un cavallo, occhi fiammeggianti di viola come un fornello a gas e pelo scintillante al chiar di luna. Correva silenzioso questo cane. Dalle fauci fuoriuscivano nuvole di vapore fetido e dal muso sbavava schiuma. Fece irruzione nella chiesa e sotto gli occhi di uno sparuto gruppetto di parrocchiani sbranò due vecchie monache. Tempo dopo si venne a sapere che le due vecchie avevano passaporto greco ed erano originarie dell’assolata isola di Lesbo. La mostruosa creatura, comunque, non si limitò semplicemente a sbranarle, ma con la velocità del lampo e la precisione del chirurgo, mozzò la testa delle due venerande lesbie che con un tonfo rotolò sul pavimento della chiesa. Solo dopo lunghe ricerche le teste furono ritrovate nell’angolo più buio della casa di Dio. Continua a leggere »