Viaggio sentimentale

sabato 30 Settembre 2017

[Doveva uscire, in ottobre, per Einaudi, una nuova edizione di un libro, secondo me, bellissimo, di Viktor Šklovskij, Viaggio sentimentale; per una incomprensione sui diritti, il libro, già annunciato, già prenotato, già pronto, non uscirà. Io avevo scritto una prefazione, la metto qui; grazie a Mauro Bersani, dell’Einaudi, che me lo consente. E peccato]

1. Tre motivi

Quando si presenta un libro, o dal vivo, o per radio, o sopra ai giornali, ogni tanto succede che qualcuno ti chieda tre motivi per cui bisognerebbe leggere il libro che stai presentando.
Ecco io devo dire che a me, una domanda del genere è sempre sembrata una domanda strana e io, che prevalentemente ho letto dei libri russi, nella mia vita, se dovessi rispondere a una domanda del genere direi che motivi non ce ne sono, se non il fatto che leggere libri russi, per me, è una specie di malattia, della quale ha detto delle cose che mi sembrano molto interessanti Giorgio Manganelli:

«Leggere i russi» è un’esperienza che molti fanno nell’adolescenza, più o meno al tempo delle sigarette e dei primi, sani desideri di scappare di casa e andare a fare il mozzo. Di questi desideri i «russi» sono i più tenaci, e se poche sono le possibilità che ci si dedichi a correre lungo i moli in cerca di un brigantino, assai minori sono quelle di liberarsi di un Dostoevskij una volta che vi è entrato nel sangue. Ma non è solo lui; non esistono disintossicanti per Gogol’, ed è molto più facile dimenticare il numero del telefono del primo amore, che la prima lettura della Sonata a Kreutzer di Tolstoj, o della Steppa di Cechov. Così accade che, periodicamente, nella vita, veniamo accolti da un attacco di «leggere i russi» .

Quando ho letto per la prima volta questa cosa di Manganelli, ho provato a ricordarmi il numero di telefono della mia prima fidanzata (si chiamava Francesca), non ci sono riuscito e, adesso non mi ricordo di preciso, ma è molto probabile che, quello stesso giorno, abbia preso tra le mani un libro simile a questo che avete, probabilmente, tra le mani voi, perché il libro che avete, probabilmente, tra le mani voi, io l’ho letto quattro volte, e a me sembra uno di quei libri che, la gente che li legge, non ha bisogno di un motivo per leggere, ha bisogno di un motivo per smettere, casomai, anzi, non ha bisogno di niente, perché quella malattia, leggere i russi, è una malattia che gli piace.
Anche se non è facilissimo, ammalarsi di leggere i russi, soprattutto all’inizio ci sono una serie di ostacoli dei quali ha detto qualcosa lo scrittore e lettore svizzero Peter Bichsel:

Tutti noi abbiamo vissuto momenti di disperazione di fronte alle prime pagine dei grandi romanzi russi, quando non capivamo chi fosse lo zio e chi il fratello e se la zia fosse la moglie dello zio e se fosse il fratello o l’amico a essere innamorato della figlia e di chi fosse figlia la figlia. Siamo allenati e sappiamo come si affronta il problema: si continua a leggere, prima o poi si capirà».

In tutto questo, cioè in quell’entità che diffonde il virus che provoca la malattia di leggere i russi (entità che si potrebbe forse definire, grossolanamente, letteratura russa), io ho l’impressione che Šklovskij abbia un ruolo tutt’altro che marginale.
Lev Trockij, il signore che ha dato origine al fenomeno chiamato trozkismo, in un saggio pubblicato nel 1923 in Letteratura e rivoluzione, scrive che «l’unica teoria che in Russia si sia opposta al marxismo in questi anni è la teoria formalistica dell’arte», che Viktor Šklovskij è «il capo della scuola formalista», che «in virtù degli sforzi di Šklovskij – e questo è un merito nient’affatto insignificante (scrive Trockij) – la teoria dell’arte, e parzialmente l’arte stessa, si è alla fine elevata dalla condizione dell’alchimia a quella della chimica». Continua a leggere »