Per esempio
Le circostanze, per esempio, dovrebbe essere delle stanze rotonde. «Vai nella tua circostanza!», da dire a un figlio quando si comporta male.
Le circostanze, per esempio, dovrebbe essere delle stanze rotonde. «Vai nella tua circostanza!», da dire a un figlio quando si comporta male.
C’era una che alle elementari cantava “astro del ciel pargol divin mite agnello re dentone”.
[Alessandro per Qualcosa]
Io da piccola pensavo, quando mi dicevano: “costa l’ira di Dio”, io pensavo che quella cosa costava la Lira di Dio. Cioè che Dio avesse una sua Zecca, e le sue Lire valevano molto più delle nostre Lire, essendo Dio. Poi, avevo circa dieci anni, è arrivato l’Euro.
[Rachele Maria Meazza per Qualcosa e il vero significato delle parole]
Quando ero piccola pensavo che la frontiera fosse il cerchietto per tenere fermi i capelli. E pensavo che a Giochi senza frontiere si potesse partecipare solo con i capelli sciolti [Paola Ragone].
Per via del proverbio A caval donato non si guarda in bocca, Stefi Marabotto pensava che Donato fosse il nome del cavallo. E un amica di Andrea Moro pensava che Cavaldonato fosse un paese dove la gente era così educata che non guardava in bocca agli alri.
E Francesco Greco pensava che una trattoria fosse una concessionaria di macchine agricole.
Da piccola pensavo che un grattacapo fosse uno strumento che serviva a grattarsi la testa quando prudeva. Ce n’erano di diversi modelli, da quelli più piccoli (“un lieve grattacapo”) a quelli più costosi (“un grosso grattacapo”). I grattacapi li vendevano in merceria, lì si trova sempre tutto, diceva mia nonna [Marzia Tomasoni].
Il figlio di Roberta Colomba da piccolo era convinto che l’oste fosse il marito dell’hostess.
Per me un buontempone era uno che si alzava molto presto alla mattina.
[Massimo Palmia]
Quando ero piccolo pensavo che il “piantagrane” fosse un attrezzo. Una specie di piccola trivella cicciotta e filettata, lunga una ventina di centimetri con una impugnatura verde di forma ovale (non so perché ma io l’impugnatura me la immaginavo verde). La trivella aveva grossomodo la forma e le proporzioni di un cono gelato capovolto, leggermente più grande di un cono gelato però molto più robusta, in metallo, con delle alette filettate e taglienti, con dei puntini tipo quelli che ci sono sulla grattugia del formaggio e con questa impugnatura ovale che riempiva il palmo di una mano come certe maniglie di ottone che ci sono in certe case del centro. Nel mio condominio maniglie ovali, non ne avevamo.
Non riuscivo a immaginare tecnicamente il funzionamento esatto della “piantagrane” ma immaginavo che fosse necessario appoggiarla per terra, fare pressione sull’impugnatura caricandoci bene sopra tutto il peso del corpo e poi lasciarla lavorare. Poi faceva tutto da sola. Se qualcuno mi avesse chiesto se ne avevo mai vista una di trivella piantagrane avrei quasi certamente risposto di sì, che l’avevo vista, tanto ero convinto. Ero sicuro di averne vista una tra gli attrezzi da lavoro di mio nonno. Pianta da pianta, grane da grane. Era chiaro che il piantagrane era una cosa che serviva per piantare qualcos’altro, probabilmente le grane come diceva la parola. Che quelle, sinceramente, non avevo capito bene che cosa fossero.
[Emilio Previtali]