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Domani comincia la ventitreesima scuola elementare di scrittura emiliana, che è una scuola il cuoi programma si può riassumere così: «Le mani che scrivono le poesie sono le stesse mani che fanno le pulizia» (viene da qui: clic)
Domani comincia la ventitreesima scuola elementare di scrittura emiliana, che è una scuola il cuoi programma si può riassumere così: «Le mani che scrivono le poesie sono le stesse mani che fanno le pulizia» (viene da qui: clic)
Diceva Brodskij che «Non sono le circostanze a creare uno scrittore, quanto piuttosto il contrario: uno scrittore, ciò che ha scritto, crea le proprie circostanze».
«Gli scritti di una persona – continuava poi Brodskij – non dipendono dalla sua biografia. È la biografia che deriva dagli scritti».
Qui proviamo a vedere se è vero: clic
– Ancora non mi credi?
– Be’, mi sembra davvero assurda come storia. Non è che non ti credo è che mi riesce difficile immaginarmi una situazione del genere.
– Ale guarda, non è che me la sono cercata. E’ arrivata. Anzi. E’ arrivato e punto. Ero lì, che potevo fare?
– Magari è stata un’allucinazione. Un colpo di sole.
– A ottobre?
– Vabe’, sabato faceva caldo
– A Bologna non c’è mica il deserto!
– Vabe’, dicevo per dire, magari sarà stata una specie di indigestione, il latte scaduto, la marmellata adulterata, le mozzarelle blu o forse saranno state quelle tue sigarette, quelle che fanno ridere.
– Nessuna allucinazione Ale e nessuna sigaretta simpatica
– Magari sarai un po’ stanco. Magari lavori troppo. O troppo poco. Le preoccupazioni. L’ansia. La famiglia. La suocera. Ecco, pensa a tutto questo, mischialo con la crisi dei trent’anni a quarant’anni, mettici la calvizie precoce e vedi che tutto si spiega.
– Certo che tutto si spiega ma non con una macedonia esistenziale.
– E allora ti prego, ricordamela ancora una volta, per l’ultima volta ti prego!
– Vedi che ti piace ascoltarmi
– No, è che mi piace sentirmi normale.
– Senti, hai presente il balcone in cucina, vero?
– Certo!
– Ci sono io che affido il mio bucato al sole. E tra una mutanda e un calzino, tra quella porzione di cielo che si apre tra i tetti rossi del palazzo qui di fianco e il balcone sporgente della signora Beatrice, vedo in lontananza questo riflesso che piano piano si avvicina
– Quindi, vedi solo una luce Alfo’?
– Abbagliante. Certo. Solo una luce. Stagliata contro un cielo azzurro puffo.
– E poi era incostante. Zigzagava. Si impennava verso sinistra e poi rimbalzava a destra, verso il balcone di quell’attico dove qualcuno ha pensato bene di piantare pini e cipressi a trenta metri dal cielo.
– Certo Alfo’, il giardino pensile della riccona napoletana. Ce l’ho presente.
– Esatto, su quel balcone si è pure fermata un secondo, se non ricordo male. E poi è ripartita schizzando via come una mosca infastidita.
– E poi dimmi, dimmi come finisce, fammi compiacere della mia normalità.
– Allora, dopo essere passata dalla riccona questa luce si è allontanata verso le Torri, disegnando un otto tra le sue punte e poi come se stesse inseguendo chissà cosa all’improvviso ha imboccato questo rettilineo immaginario che dalla Garisenda porta diritto verso questo balcone.
– Mi sto emozionando!
– Allora mi credi?
– Certo che no, non sono mai stato così lontano dal crederti.
– E allora più si avvicinava e più scorgevo i contorni di questa massa lucente. Ho visto finalmente anche un’ombra. Una piega nell’aria, un corpo che sembrava addirittura umano. Qualcosa di familiare.
– Era un angelo, vero? Il tuo angelo, vero?
– Magari. Sarebbe dovuto accadere. Ne avrei davvero bisogno di un angelo.
– E allora chi era. Dai ripetilo, chi era?
– E allora ho visto questo corpo. Il suo corpo. I suoi muscoli perfetti sotto la tuta aderente, i suoi capelli tra l’oro e l’avorio. E il suo mantello. Bello come il velo di una sposa.
– E dimmi, dimmi chi era. Dillo quel nome, dai!
– Superman
– Superman?
– Superman!
– E dimmi, questo Superman che ha fatto, dimmelo per l’ultima volta, che ha fatto?
– Mi ha guardato negli occhi, senza fulminarmi. Con uno sguardo che era un abbraccio. Mi ha accarezzato la guancia, senza stritolarla. Ha guardato e sfiorato il bucato ancora umido e con una voce risoluta, ferma, senza nessuna inflessione mi ha detto: “Alfonso, mai più senza ammorbidente!”.
[A febbraio, a Bologna, ricomincia la Scuola elementare di scrittura emiliana, dalla quale, qualche anno fa, è uscito, tra gli altri, questo compito, di Alfonso Posillipo. Per i dettagli: clic]
Non mi ricordo mai i nomi delle strette di mano, quando qualcuno si presenta e dice piacere, sono Tizio, piacere sono Caio, ecco io lì per lì mi agito sempre un po’ e i nomi di Tizio e Caio non me li ricordo mai, e dopo devo chiederli di nuovo, che è sempre una brutta figura.
Non mi ricordo mai niente della trama dei libri che leggo o dei film che vedo, mi ricordo solo un dettaglio, una scena, e se mi è piaciuto tanto oppure no, e penso: come fa a essermi piaciuto tanto, che non mi ricordo niente?
Non mi ricordo mai niente di un fidanzato, dopo, o meglio, non è che non mi ricordo i fatti, i fatti me li ricordo, ma non mi ricordo per niente com’era essere innamorati di quello lì, e penso: “qualcosa vorrà dire”. Non mi ricordo le stesse cose che si ricorda Giovanni, il mio amico del liceo, di quegli anni di quando eravamo al liceo, e dire che mi ricordo tante cose ben assurde, ma lui se ne ricorda delle altre, anche quelle assurde, ma diverse, e ogni volta penso: “ma io dov’ero quella volta lì?”.
Non mi ricordo la faccia della Bruna, la prima fidanzata dello zio Guido, quello del Bananito e di «Giù le mani da Cuba», che per noi la Bruna all’inizio era come un essere mitologico, perché non la vedevamo mai, poi a un certo punto è diventata una persona vera, che ci veniva a trovare e ci portava i regalini, e mio zio ci è stato fidanzato sette anni, poi all’improvviso ha sposato un’altra.
Non mi ricordo nessun mio pensiero prima di quando ho avuto dieci anni, che ho guardato gli abeti scuri, di un verde quasi nero, fuori dalla finestra sul retro della casa e ho scritto su un foglietto «ormai non c’è più niente da fare», o qualcosa del genere, e i miei genitori hanno riso, e io mi sono offesa moltissimo.
Non mi ricordo che mia mamma abbia mai giocato con me, mio babbo sì, ma mia mamma no, forse sono io che non mi ricordo, ma non mi ricordo.
Non mi ricordo quasi niente del mio babbo, poche cose, poco più che aneddoti, finché non si è ammalato, e abbiamo cominciato a parlarci davvero, proprio quando lui non si ricordava più niente. Cioè, si ricordava benissimo di me, ma non sapeva dire perché. Poi l’ultima estate, che era caldissimo e l’avevo portato fuori per cercare di dargli un po’ di sollievo, ma lui con quel caldo stava peggio fuori che dentro e si è dovuto sedere sulla panchina in mezzo al prato, seduto sulla panchina mi ha guardato e mi ha detto: «Mi dispiace di averti conosciuto in questo giardino».
[A febbraio, a Bologna, ricomincia la Scuola elementare di scrittura emiliana, dalla quale, qualche anno fa, è uscito, tra gli altri, questo compito, di Chiara Lambertini. Per i dettagli: clic]
Io abito all’Arginone che è una località di San Matteo Della Decima, che è una frazione di San Giovanni in Persiceto, che è un comune in provincia di Bologna e a cento metri da casa mia ci abita Ralf che di nome fa Oscar ma che tutti chiamano Ralf perchè ha i capelli rossi e assomigliava a Ralf di Happy Days.
Una sera a Ralf, tornando da Milano, gli s’é aperto il cofano della macchina mentre stava andando, il cofano ha sbattuto contro il vetro d’avanti, che si è tutto rotto come fanno i vetri d’avanti delle auto, in tanti pezzettini che rimangono attaccati ma non si vede più niente. Allora Ralf si è accostato, è sceso dall’auto, ha tirato fuori il cric e con quello ha rotto tutto il vetro staccandolo per bene, si è legato un fazzoletto davanti alla bocca, si è tenuto ben stretti gli occhiali da vista, ha messo su la cassetta con il misto dei Clash ed è tornato all’Arginone da Milano senza il vetro d’avanti.
Quando è arrivato invece di andare subito casa si è fermato al Bar, a far vedere che nella macchina c’era uno strato di due centimetri di parpaglie moscerini e zanzare con un pipistrello piantato in mezzo al sedile dietro, con i Clash che facevano vibrare tutti quei cosi.
E i vecchi stavano lì a scossare la testa e dire “guerda lè che schif”.
[A febbraio, a Bologna, ricomincia la Scuola elementare di scrittura emiliana, dalla quale, qualche anno fa, è uscito, tra gli altri, questo compito, di Michele Risi. Per i dettagli: clic]
Mi ricordo la neve nel bicchiere con succo di arancia e un po’ di zucchero.
Mi ricordo che ci lasciavamo cadere sulla neve stesi all’indietro e a braccia aperte.
Lo chiamavamo fare i cristi.
Mi ricordo i cappelli di carta di giornale che portavano muratori e imbianchini.
Mi ricordo la funivia che andava a San Luca.
Mi ricordo le bustine di Idrolitina. Si versavano nella bottiglia e l’acqua faceva le bollicine. Veniva chiamata acqua di Vichy.
Mi ricordo che mia nonna e le sue coetanee portavano i capelli raccolti e arrotolati in una crocchia, detta pipoll, italianizzato pipullo. Anni dopo, quando questa acconciatura tornò di moda, si chiamava concio.
Mi ricordo le lucciole. Dicevamo Lucciola lucciola vien da me, ti darò il pan del re, pan del re e della regina, lucciola lucciola vien vicina. Catturato l’insetto, lo si metteva sotto un bicchiere capovolto e si stava a guardare la lucina intermittente che dopo un po’ si spegneva perché la lucciola era morta.
Mi ricordo il carretto, trainato da un cavallo, che passava ogni mattina a raccogliere la spazzatura. Il ruscarolo annunciava il suo arrivo suonando un corno di ottone. A quel suono, inconfondibile, ci si affrettava a portar fuori il bidoncino del rusco per svuotarlo nel carretto.
Mi ricordo che i ciclisti stringevano il risvolto dei calzoni con una molletta da bucato per evitare che si impigliassero nella catena della bicicletta.
Mi ricordo le capparelle che indossavano i contadini quando il venerdì, giorno di mercato, affollavano piazza Maggiore.
[A febbraio, a Bologna, ricomincia la Scuola elementare di scrittura emiliana, dalla quale, qualche anno fa, è uscito, tra gli altri, questo compito, di Mirella Giordani. Per i dettagli: clic]