Basilicanova – San Pietroburgo (1995)
Il mio meccanico, mi ricordo, che aveva messo a punto la macchina prima del viaggio, quando me l’aveva consegnata mi aveva dato anche un cacciavite a stella e mi aveva detto «Se la macchina a un certo punto si ferma, tu parcheggi da un lato della strada, scendi, prendi questo cacciavite, sviti le targhe, sia quella davanti che quella di dietro, e la macchina la lasci lì. L’importante è che porti indietro le targhe».
Il giorno prima di partire, mia nonna mi aveva preso da parte, mi aveva dato cinquantamila lire e mi aveva detto «Tieni, per comprare qualche birretta lungo la strada».
A Mantova, mi ero già perso. C’eran degli svincoli, delle deviazioni, di quei cartelli gialli che dicono Deviazione, e io avevo seguito quelli e non sapevo più dove andare. Dopo poi mi ero orientato. Avevo dormito la prima volta poco prima di Vienna.
Dormivo in macchina, e avevo una sveglia, con me, ma la tenevo girata, e quando mi svegliavo, se era notte, non sapevo mai quanto sarebbe durata la notte, poteva durare un’ora come otto ore.
Adesso non lo so com’è, ma a Bratislava, nel ‘95, cambiava lo spazio, le facce degli uomini, la strada, i bambini spettinati andavano a scuola e indicavan la macchina e facevan la lingua.
Ho parlato solo con dei benzinai e con dei poliziotti e con degli addetti alla dogana, e, una volta, mi avevan fermato, in dogana, era la prima volta che vedevano una due Cavalli, e si eran molto meravigliati per come era stretta, e mi avevano chiesto «Ma voi, in Italia, avete le macchine strette perché le strade son strette?».
E poi quando ero arrivato, sul Bol’šoj prospekt dell’isola Vasilevskij di San Pietroburgo, nel 95, avevo parcheggiato la macchina davanti alla casa del mio amico che mi avrebbe ospitato, che si chiama Tim, e lui mi aveva detto che aveva visto un bambino, che era passato lì davanti, per mano a suo babbo, aveva indicato a suo babbo la mia macchina e gli aveva detto «Eto budet moja mašina» (Questa sarà la mia macchina).
E niente, poi son son stato lì due mesi poi son tornato a casa.
E, prima ancora di tornare a casa, fin da quando ero lì, in Russia, non che sia importante, ma quello è stato il momento che ho cominciato a scrivere.
Quella cosa che ho scritto qua sopra: «Il giorno prima di partire, mia nonna mi aveva preso da parte, mi aveva dato cinquantamila lire e mi aveva detto Tieni, per comprare qualche birretta lungo la strada», l’ho scritta il primo giorno che mi son messo a scrivere per raccontar delle cose, nel mese di luglio del 1995, come se fosse un racconto autonomo che si intitolava Storia delle birrette, se può interessare, e dopo, quando sono tornato, non ho più fatto altro, praticamente, nella mia vita, più o meno, di scrivere dei racconti come Storia delle birrette.
[La grande Russia portatile, domani, a Milano, alla Open, con Tino Mantarro]