giovedì 11 Maggio 2017
Una domanda a bruciapelo, per concludere: secondo lei, qual è il poeta, lo scrittore di questo secolo che ha fatto di più per la lingua russa, per la viva parola russa?
Più di tutti Chlebnikov, che ancora non è stato letto fino in fondo. La lezione della prosa di Chlebnikov non ha ancora dato i suoi frutti, ma verrà il momento, e gli scrittori la leggeranno.
[Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, pp. 117]
martedì 9 Maggio 2017
E come si può creare una lingua? Chi crea la lingua?
Mettiamola così: il linguaggio di Gogol’ è più linguaggio del linguaggio. Ma è linguaggio. Il linguaggio di Tolstoj è linguaggio. Come faccio a saperlo? È semplicissimo: quando consegno i dattiloscritti dei miei lavori alle case editrici, ogni volta che riporto delle citazioni di Tolstoj scrivo sempre, a fianco: «Tolstoj». Altrimenti il correttore o il redattore mi cambierà sicuramente qualche parola. E quando Tolstoj era vivo, con tutto il rispetto che si aveva per lui, gli facevano fino a duemila correzioni in un libro. E quello che correggeva non era certo uno stupido. Il fatto è che Tolstoj scriveva nella lingua del futuro, nella lingua che sarà. Mentre il correttore non scriveva nemmeno nella lingua del presente, ma in quella del passato. Lo stesso Chlebnikov, con tutto il suo approccio mistico alla lingua, pure viveva nella lingua viva. Ma non si può vivere in una non-lingua, non si può vivere in una lingua di nessuno. È sempre brutta la lingua dei professori… Da noi, sotto lo zarismo, esisteva una specie di commissione teatrale, composta di famosissimi professori di secondo piano. Ecco, erano loro i carnefici che torturavano il corpo delle opere di Čechov.
[Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, pp. 92]
lunedì 8 Maggio 2017
Guardi, nel cinema, come in ogni altra arte, per creare un effetto di rumore bisogna che prima ci sia silenzio. Per creare un effetto di sorpresa bisogna che prima tutto sia scontato. Bisogna creare un tempio che poi verrà distrutto. Come dice il Vangelo: «Io posso costruire e poi distruggere». Ma costruire la parola e poi distruggerla – questo possono farlo anche gli scrivani, mentre comprendere e riempire di senso il destino della creazione e della distruzione, questo può farlo solo l’artista. Pensiamo a Tolstoj: ci descrive dapprima una donna tranquilla e serena, Anna Karenina, un giovane e tranquillo ufficiale soddisfatto di sé, e poi fa crollare tutto, distrugge la sua costruzione, e nella distruzione scorge e rappresenta i meccanismi umani.
[Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, pp. 92]
domenica 7 Maggio 2017
Le notti bianche, allora, erano più bianche di quanto siano mai state in seguito. E la testa era luminosa, avevamo gli occhi lavati. E la speranza. Quale speranza? Né più né meno che quella di ricostruire tutto il mondo. Credevano che ci sarebbe stata la rivoluzione non solo, diciamo, in Ungheria, o in Germania, ma anche, immancabilmente, in Francia. All’Italia allora non ci pensavamo, ma in Spagna sì, ci sarebbe stata la rivoluzione, ne eravamo convinti.
Ma cosa significava allora, per voi, la rivoluzione?
Ecco, per esempio, pensavamo: ci sarà la dittatura dell’Accademia delle Scienze. Perché ride? Esattamente così: la dittatura dell’Accademia delle Scienze, anzi, la dittatura dell’arte. La libertà dell’arte.
[Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, pp. 69-70]
sabato 6 Maggio 2017
Evidentemente è necessario che sia così. Ricordo che una grande scrittrice disse «Non perdete la disperazione». Perché si può dire che la disperazione è indispensabile all’uomo. Serve a non pensare che sia il prossimo a impedirgli di essere felice. Il nemico principale dell’uomo è il suo cuore. Di questo ha splendidamente scritto Jurij Oleša. Una volta, ha scritto, sentì all’improvviso un rumore strano. Chiese a sua nonna di cosa si trattava: era il cuore che batteva. Era la prima volta che sentiva il cuore battere. E da allora lo sentì per tutta la vita. Bisogna ascoltare il proprio cuore senza rovinarlo. L’arte pone sempre all’uomo il compito, il problema del futuro. Don Chisciotte, come diceva Dostoevskij, non ha nessuna colpa. È colto, non sfrutta la propria gloria di folle, è intelligente, non ha bisogno di nulla, eppure non riesce a trasformare il mondo subito. Ma è necessario all’umanità. Vede, l’espressione russa poka čto [finora, per il momento, mentre, intanto che] è brutta, non mi piace. Gliene dirò io una bella: ničego [Significa: niente. Significa anche non c’è male, abbastanza bene, può andare]. Tolstoj, una volta, ha trascritto una canzone che cantavano i soldati russi al Caucaso. Una bella, difficile canzone. Aspetti, gliela canto:
Per dirla in breve, è difficile,
non è certo facile,
insomma non c’è male.
E questa parola, ničego, che in Russia si usa tanto spesso, e che non si sa con esattezza cosa voglia dire, in realtà significa molto, significa che non si è ancora vinti. E che si va avanti, anche se è molto difficile.
[Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, pp. 79-80]
venerdì 5 Maggio 2017
Prendiamo, ancora, il finale di Delitto e castigo: Raskol’nikov è nella colonia penale, non ama gli ergastolani che, a loro volta, gli sono nemici, ma in lui comincia un mutamento e questa sua metamorfosi è già, potenzialmente, un nuovo romanzo. Esattamente analoga è la fine di Resurrezione: anche la storia della metamorfosi di Nechljudov implica un nuovo romanzo. Ma questo nuovo romanzo non è stato scritto. Ecco perché dico che non esistono romanzi che abbiano una fine. Il romanzo può finire, ma non ha fine. Tackeray diceva che ogni volta che scriveva un romanzo avrebbe voluto che a finirlo ci pensasse il lacchè che gli puliva le scarpe. /…/ Degli epiloghi, Thacheray ha scritto che assomigliano a un tè troppo dolce lasciato nella tazza dalla governante. Ecco: il finale, nel romanzo, è proprio questo avanzo sdolcinato. Come si concludono, per esempio, i grandi libri, le grandi tragedie di Dickens? Di colpo e per caso l’uomo ritrova il proprio posto nella società e nella vita. Il figlio illegittimo viene riconosciuto dal padre, oppure il protagonista si sposa, oppure riceve un’eredità, oppure parte per l’Australia, ma è solo una convenzione.
[Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, pp. 17, 19]
martedì 2 Maggio 2017
L’arte si occupa sempre soltanto della vita. Cosa facciamo nell’arte? Resuscitiamo la vita. L’uomo è così occupato dalla vita che si dimentica di viverla. Dice sempre Domani, domani. E questa è la vera morte. Qual è, invece, il grande successo dell’arte. È la vita. Una vita che si può vedere, sentire, vivere in modo palpabile.
[Viktor Šklovskij, Testimone di un’epoca. Conversazioni con Serena Vitale, Roma, Editori Riuniti 1979, p. 20]