lunedì 16 Gennaio 2023
Nutro un’insopprimibile avversione per chi si compiace del fatto che la propria finzione narrativa sia educativa o nobilitante, o patriottica, o salutare quanto lo sciroppo d’acero o l’olio d’oliva
[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, p. 49, la foto viene da qui: clic]
sabato 6 Marzo 2021
Sulla censura nella Russia dell’ottocento: «Qualunque difetto avesse la vecchia amministrazione russa, bisogna riconoscere che aveva una notevole virtù: mancanza di cervello».
[Vladimir Nabokov, Lezioni di letteratura russa, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2021, p. 17]
martedì 6 Novembre 2018
La differenza tra la visione umana e l’immagine percepita dall’occhio sfaccettato di un insetto può essere paragonata alla differenza tra un cliché a mezzatinta ottenuto con il retino più fine e la medesima immagine realizzata con la schermatura a grana grossa, quella che si usa nella riproduzione illustrata dei comuni giornali. La stessa relazione esiste tra il modo in cui vedeva le cose Gogol’ e il modo in cui vedono le cose i lettori ordinari e gli scrittori ordinari. Prima dell’avvento suo e di Puškin, la letteratura russa era praticamente cieca. La forma che percepiva era un profilo guidato dalla ragione: non vedeva il colore in sé, ma semplicemente usava le trite combinazioni di sostantivi ciechi e aggettivi fedeli come cani che l’Europa aveva ereditato dagli antichi. Il cielo era azzurro, l’alba rossa, il fogliame verde, gli occhi della bellezza neri, le nuvole grigie e così via. Fu Gogol’ (e, dopo di lui, Lermontov e Tolstoj) a vedere per primo che esistevano il giallo e il violetto. Che il cielo potesse essere verde pallido al sorgere del sole, o la neve di un azzurro intenso in un giorno sgombro di nuvole, sarebbe suonato come una sciocca eresia allo scrittore cosiddetto «classico», abituato com’era ai rigidi e convenzionali schemi coloristici della scuola letteraria francese del secolo XVIII.
[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, pp. 86-87]
lunedì 5 Novembre 2018
Lo ripeto, tuttavia, a beneficio di coloro a cui piace che i libri diano loro «gente vera» e «vero crimine» e un «messaggio» (quell’orrore degli orrori preso a prestito dal gergo dei riformatori quaccheri). Anime morte non li condurrà da nessuna parte.
[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, p. 75]
venerdì 5 Ottobre 2018
Puškin avrebbe semplicemente sfoderato i luccicanti denti da negro in una bonaria risata – per poi volgersi al manoscritto incompleto del suo capolavoro di turno. Gogol’ fece ciò che aveva fatto dopo il fiasco di Kuechelgarten: fuggì, o piuttosto scivolò via, verso terre straniere.
Fece anche qualcos’altro. Fece la cosa peggiore che uno scrittore potesse fare in quelle circostanze: cominciò a spiegare a mezzo stampa i punti del suo lavoro che i critici avevano o trascurato o rivolto contro di lui. Gogol’, essendo Gogol’ e vivendo in un mondo a specchio, aveva la speciale abilità di pianificare per intero le proprie opere dopo averle scritte e pubblicate. E così fece con Il revisore. Vi aggiunse una sorta di epilogo in cui spiegava che il vero Revisore che si profila di lontano alla fine dell’ultimo atto è la Coscienza dell’Uomo, mentre gli altri personaggi sono le Passioni che albergano nelle nostre Anime. In altre parole, si doveva credere che queste passioni erano simboleggiate da funzionari di provincia e che la Coscienza più elevata era simboleggiata dal Governo.
[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, p. 62]
mercoledì 22 Agosto 2018
Un famoso scrittore di teatro ha detto (probabilmente in stizzosa risposta a un rompiscatole che desiderava conoscere i segreti del mestiere) che se nel primo atto alla parete è appeso un fucile, nell’ultimo atto deve sparare. Ma i fucili di Gogol’ rimangono appesi a mezz’aria e non sparano – in sostanza, il fascino delle sue allusioni consiste proprio nel fatto che non hanno assolutamente nessuna conseguenza.
[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, p. 51]
mercoledì 18 Ottobre 2017
Fece anche qualcos’altro. Fece la cosa peggiore che uno scrittore potesse fare in quelle circostanze: cominciò a spiegare a mezzo stampa i punti del suo lavoro che i critici avevano o trascurato o rivolto contro di lui. Gogol’, essendo Gogol’ e vivendo in un mondo a specchio, aveva la speciale abilità di pianificare per intero le proprie opere dopo averle scritte e pubblicate. E così fece con Il revisore. Vi aggiunse una sorta di epilogo in cui spiegava che il vero Revisore che si profila di lontano alla fine dell’ultimo atto è la Coscienza dell’uomo mentre gli altri personaggi sono le Passioni che albergano nelle nostre Anime. In altre parole, si doveva credere che queste passioni erano simboleggiate da funzionari di provincia grotteschi e corrotti e che la Coscienza più elevata era simboleggiata dal Governo.
[Vladimir Nabokov, Nikolaj Gogol’, a cura di Cinzia De Lotto e Susanna Zinato, Milano, Adelphi 2014, p. 62]