Presentare

sabato 10 Giugno 2017

Nonostante siano ormai degli anni che scrivo dei libri, quando devo presentare uno, , non so mai cosa dire; mi sembra un’ingiustizia, doverlo fare, mi vien da pensare che io l’ho scritto, devo anche spiegarlo? Perché?
Strategia della crisi, per esempio, la prima presentazione l’ho fatta per radio, a Radio 3, e quando m’han detto che la crisi, va bene, l’avevan capito, ma strategia, in che senso strategia? io allora gli ho risposto Eh, l’ho scritto tanto tempo fa, non mi ricordo, ho detto ieri sera a Parma per cominciare.

9 giugno – Parma

venerdì 9 Giugno 2017

Venerdì 9 giugno,
a Parma,
alla libreria Diari di bordo,
in borgo Santa Brigida, 9
alle 18,
Strategia della crisi

5 giugno – Bologna

lunedì 5 Giugno 2017

Lunedì 5 giugno,
a Bologna,
alla libreria Ambasciatori,
in via degli Orefici 19,
alle 18 e 30,
Strategia della crisi.

3 giugno – Livorno

sabato 3 Giugno 2017

Sabato 3 giugno,
a Livorno,
alla libreria Feltrinelli,
in via Franco, 12,
alle 16,
Strategia della crisi

Capitolo 48

mercoledì 24 Maggio 2017

A un certo momento, la Battaglia, sempre in quell’anno lì 2016, avevo sentito che cantava una canzone che mi sembrava di conoscerla, mi ero avvicinato, la canzone era: «Gli anni d’oro del grande Real, gli anni di Happy days e di Ralph Malph, gli anni delle immense compagnie, gli anni in motorino sempre in due, gli anni di “Che belli erano i film”, gli anni dei Roy Rogers come jeans, gli anni di “Qualsiasi cosa fai”, gli anni di “Tranquillo siam qui noi”», che era una canzone di Max Pezzali che parlava di cose che erano succedesse trentacinque anni prima quando io avevo diciotto anni e alla Battaglia, che di anni ne aveva undici, le avevo chiesto «Ascolta, ma lo sai tu chi era Ralph Malph?».
«No», mi aveva risposto lei.
Ecco.
In quel periodo lì io avevo appena finito di scrivere un libro che si chiamava Le parole senza le cose che in epigrafe avevo messo una frase di Joseph Roth che diceva che «Avere in comune il presente è un legame più forte che avere in comune un modo di pensare », che era una frase che mi piaceva molto e che mi sembrava molto chiara e che però quell’episodio con la Battaglia l’aveva un po’ complicata perché io e la Battaglia, è vero che avevamo in comune Ralph Malph, però il mio Ralph Malph, secondo me, era un Ralph Malph completamente diverso dal Ralph Malph della Battaglia. E mi era venuto in mente che, se dovessi scegliere tra il mio Ralph Malph e quello della Battaglia sceglierei il suo perché il suo potrebbe essere qualsiasi cosa il mio invece era uno che non mi piaceva tantissimo, a pensarci.
E avevo pensato a una cosa che avevo sentito in uno spettacolo teatrale a Parma, qualche mese prima, che ci si immaginava come sarebbe vivere al contrario, cioè cominciare morendo, senza trauma, poi ti svegliavi in un letto di ospedale e ogni giorno stavi un po’ meglio, e poi ti dimettevano, e andavi in posta a ritirar la pensione e più passava il tempo più le tue forze aumentavano, le rughe scomparivano finché non iniziavi a lavorare e il primo giorno ti regalavano un orologio d’oro, e lavoravi quarant’anni finché non eri così giovane che smettevi, e andavi a delle feste, bevevi, giocavi, fiondavi e ti preparavi per iniziare a studiare.
Poi iniziava la scuola, e piano piano diventavi un bambino piccolo, e quando eri piccolissimo ti infilavi in un posto che ormai conoscevi bene e gli ultimi nove mesi li passavi tranquillo e sereno in un posto riscaldato con servizio in camera e senza nessuno che ti rompeva i coglioni e lasciavi questo mondo in un orgasmo, dicevano, che non sarebbe male, se non fosse per certe cose, che, non so, faccio un esempio.
Io ero appena stato a Livorno, e avevo scoperto che a Livorno c’era un sindaco che, per il problema dei proprietari dei cani che non pulivano quando i loro cani facevano la cacca, aveva proposto di fare una anagrafe canina con segnati nome, cognome, indirizzo e Dna di tutti i cani di Livorno e poi, quando si trovava una cacca per strada, di mandarla ai Ris di Parma che l’analizzavano e poi controllare con l’anagrafe e mandare una multa al padrone che era una proposta che, se l’avessi sentita da giovane, avrei preso paura, forse, una società autoritaria, il grande fratello, sentita da vecchio invece era una proposta che mi metteva di buonumore.

[Un mio amico mi ha detto che Strategia della crisi, alla Feltrinelli di Milano Stazione Centrale, è nel reparto Sociologia, che io ho pensato che lo prendo come un complimento]

Tra l’altro

venerdì 19 Maggio 2017

Tra l’altro, sembra che non sia neanche vero, che in cinese crisi vuol dire anche opportunità: clic.

[Grazie a Samuele e Matteo].

17 maggio – Milano

mercoledì 17 Maggio 2017

Mercoledì 17 maggio,
a Milano,
da Verso,
in Corso di Porta Ticinese, 40,
alle 19,
Strategia della crisi.

Non dire

martedì 16 Maggio 2017

Domani vado a Milano a presentare Strategia della crisi e devo ricordarmi di dire che dentro quel libro lì, che dura 115 pagine che parlano tutte di crisi, non si dice mai che Crisi, in cinese, vuol dire anche opportunità.

Capitoli 43 e 44

giovedì 4 Maggio 2017

43. Dopo poi dopo

Dopo, in quel libro lì, in quel saggio sulla bellezza dell’ex presidente del consiglio, una delle cose che c’erano scritte, in quel saggio lì, era il fatto che Fëdor Dostoevskij, lo scrittore russo, aveva scritto l’Idiota a Firenze, e che la celebre frase La bellezza salverà il mondo a Dostoevskij gli era venuta in mente quando abitava a Firenze.
E dopo, qualche anno dopo, a me era venuto in mente di scrivere un romanzo il cui protagonista avrebbe dovuto essere uno studente fuori corso che da degli anni cercava di scrivere una tesi sulle brutte figure in Dostoevskij, e avevo cominciato a rileggere i romanzi di Dostoevskij e avevo preso, di Dostoevskij, il libro Lettere sulla creatività, a cura di Gianlorenzo Pacini, che era una scelta delle lettere di Dostoevskij che trattavano della scrittura, e era capitato su una lettera del gennaio del 1869 che Dostoveskij scrive da Firenze e che comincia così: «È assolutamente necessario che io torni in Russia, qui sto perdendo perfino la possibilità di scrivere».

44. Cosa c’era scritto nel libro di Renzi

Nel libro di Renzi c’era scritto che se fai un giro a Firenze, nella bellissima Firenze, il senso di quel giro «ti si fissa in mente mentre arrivi in piazza Pitti: una targa richiama l’attenzione, all’altezza del numero civico 22. È la testimonianza che in questa casa Fëdor Dostoevskij ha scritto L’idiota, uno dei suoi capolavori».
E poi continuava, Renzi, dicendo che gli piaceva pensare che l’idea che «la bellezza salverà il mondo», che è un’idea del protagonista dell’Idiota, il principe Myškin, a Renzi piaceva pensare che questa idea fosse venuta a Dostoevskij grazie a Firenze, «che Firenze, in qualche modo», potesse «avergli ispirato quella frase sul valore salvifico del bello», scriveva Renzi e io, all’epoca, devo dire che ci avevo creduto, cioè ero stato proprio suggestionato da questa idea suggestiva esposta nel capitolo «Michelangelo e il servizio pubblico» del libro di Matteo Renzi Stil novo, solo che poi, dopo aver trovato quella frase così antipatica di Dostoevskij «È assolutamente necessario che io torni in Russia, qui sto perdendo perfino la possibilità di scrivere», ancor più antipatica se consideriamo che è stata scritta in un posto così bello come Firenze, dopo aver trovato questa frase ero andato a informarmi e avevo scoperto che L’idiota Dostoevskij aveva cominciato a scriverlo in Russia alla fine del 1866, l’aveva continuato nel 1867 a Ginevra, a Vevey e a Milano e l’aveva finito a Firenze (dove era arrivato sul finire del ‘68) nel gennaio del 1869, quindi a Firenze Dostoevskij aveva scritto l’ultima parte del romanzo, quella più cupa, più disperata, quella del delitto, della ricaduta, quella che prende meno luce dall’idea, bellissima, che la bellezza salverà il mondo, proprio il contrario di quello che avevo capito leggendo il libro di Renzi, si vede che non ero stato attento.

Capitoli 41 e 42

mercoledì 3 Maggio 2017

41. La bellezza (una recensione del 2012)

Il nuovo libro di Matteo Renzi, che si intitola Stil novo (Rizzoli 2012, pp. 193, 15 euro), mi sembra molto difficile da riassumere. Si apre con un’epigrafe di Camus («La bellezza non fa rivoluzioni, ma viene il giorno che le rivoluzioni hanno bisogno di lei») e parla di molte cose: di bellezza, di Firenze, dell’Italia, dell’America, del mondo. Di Dante, di Leonardo da Vinci, di Michelangelo, di Savonarola. Dei fiorentini, dei toscani, degli italiani, degli americani. È pieno di frasi in un certo senso memorabili, come queste: «Scrivere di Firenze è difficile. Forse arrogante. Per qualcuno persino inutile». «Anche questa città, patria dell’arte e della cultura, si fa spesso raggiungere dalla mucillagine del banale». «Una sorta di Manhattan ante litteram? Sì e no». «Ovviamente, se ascoltate gli storici vi diranno che questa ricostruzione è parziale. Lo ammetto anch’io, sia chiaro. Ma non è che vi dovete preparare a un esame universitario: state assaggiando una città». «Ormai è maturo il tempo in cui l’Italia regolarizzi il servizio civile obbligatorio, la cui introduzione è stata richiesta da molte associazioni e dal settimanale “Vita”, la più autorevole testata del terzo settore in Italia». «Dobbiamo avere la forza di sconfiggere il pensiero debole dei poteri forti, o presunti tali». «Una città non è un ammasso casuale di pietre». «Diciamoci la verità, a Firenze ci sono cose meravigliose, che spaccano il pensiero». «Se vogliamo essere onesti, però, a Firenze non mancano nemmeno le autentiche cialtronate, che andrebbero proibite con un’ordinanza». «Sono sicuro che se Dante fosse in vita scriverebbe sul suo blog parole al vetriolo contro queste assurdità». «Dante appartiene a questi personaggi rovinati dalla scuola». «Spesso ce lo presentano in modo monotono. E invece Dante era un ganzo. Amava l’amore, amava la politica, amava le passioni forti. Detta male: gli garbava vivere». «Dante ha inventato l’italiano riuscendo nel brillante paradosso di fondare un’appartenenza dall’esilio». «Io sono convinto che Dante era di sinistra, anche se non lo sapeva». «Crea l’italiano anche se probabilmente non ne è consapevole, pur avendo una sufficiente dose di autostima, diciamo così». «In questi momenti mi viene quello che, tecnicamente parlando, si chiama discreto giramento di scatole, giusto per uscire dall’atmosfera poetica». «Anche perché diciamo la verità, la Gioconda è più enigmatica che bella». «Non possiamo indugiare qui nei particolari, rimandando a testi più seri». Ecco: a me è sembrato stranissimo, che in tutte le 193 pagine di questo libro sulla bellezza non sono riuscito a trovare una frase che mi sembrasse non dico bella, ben fatta. A un certo momento mi è tornato in mente Camus quando, nei suoi taccuini, pensa a quel che avrebbe voluto ancora fare, nella sua vita, e scrive: «Ma soprattutto, soprattutto, rifare a piedi, con lo zaino sulle spalle, la strada da Monte San Savino a Siena, costeggiare quella campagna di ulivi e di viti, di cui sento ancora l’odore, percorrere quelle colline di tufo bluastro che s’estendono sino all’orizzonte, e vedere allora Siena sorgere nel sole che tramonta con tutti i suoi minareti, come una perfetta Costantinopoli, arrivarci di notte, solo e senza soldi, dormire accanto a una fontana ed essere il primo sul Campo a forma di palmo, come una mano che offre ciò che l’uomo, dopo la Grecia, ha fatto di più grande. Sì, vorrei rivedere la piazza inclinata di Arezzo, la conchiglia del Campo di Siena e mangiare ancora i cocomeri per le strade calde di Verona. Quando sarò vecchio, vorrei che mi venisse concesso di tornare su quella strada di Siena, che non ha eguali al mondo, e di morirvi in un fossato, circondato soltanto dalla bontà di quegli italiani sconosciuti che io amo». E mi è venuto da pensare che Camus, quando parlava della bellezza, era come un falegname che parlava del legno, sapeva quel che diceva.

42. Loro

Dopo, un’altra cosa che testimoniava la crisi della politica era l’espressione, riferita ai politici, «lavorare sul territorio».
Cioè il fatto che ci fossero dei politici che lavoravano sul territorio comportava il fatto che ce ne fossero degli altri che non lavoravano, sul territorio, e se non lavoravano sul territorio, dove lavoravano?
Su delle mongolfiere?
Su dei satelliti?
Dove?