Un minuto dopo

lunedì 22 Febbraio 2021

Raccoglieremo il silenzio, lo conserveremo e lo venderemo. In cassette. Per esempio, silenzio numero uno: «Aurora montana». Oppure silenzio numero cinque: «Languore d’amore». Numero nove: «Un minuto dopo la catastrofe aerea».

[Sergej Dovlatov, Straniera, trad. di Laura Salmon, Sellerio, Palermo 2016 (5), p 125]

Cinismo astratto

giovedì 12 Aprile 2018

Lëva Baranov ha più di sessant’anni. È un ex pitore-molotovista. Al principio della sua carriera, dipingeva esclusivamente Molotov. I suo lavori venivano esposti in innumerevoli edifici amministrativi, poliambulatori, comitati di lavoro. Persino sulle pareti delle chiese sconsacrate.
Baranov aveva studiato fin nei particolari l’aspetto di questo ministro dal viso di operaio qualificato. Per scommessa disegnava Molotov in dieci secondi e, come se non bastasse, lo disegnava anche ad occhi bendati.
Poi Molotov fu destituito. Lëva tentò di disegnare Chruščëv, mea era inutile: i lineamenti di un agiato contadino si rivelarono al di sopra delle sue fozre.
La stessa storia accadde con Brežnev. La sua fisionomia da cantante d’opera a Baranov proprio non riusciva. E così Lëva, dal dispiacere, si trasformò in astrattista. si mise a dipingere macchie, linee e ghirigori colorati. E inoltre si mise a bere e a far risse.
I vicini si lamentarono di Lëva con il commissario di quartiere:
– Beve, si azzuffa, si occupa di robe tipo cinismo astratto…
In definitiva Lëva emigrò [in America], si mise al volante [a fare il tassista] e si calmò. Nei momenti di tempo libero raffigura Reagan a cavallo.

[Sergej Dovlatov, Straniera, a cura di Laura Salmon, Palermo, Sellerio 2016 (4), pp. 13-14]

Se sentiamo parlare inglese

mercoledì 11 Aprile 2018

Nel nostro quartiere è accaduta questa storia. Marusja Tatarovič ha ceduto e si è innamorata del sudamericano Rafael. Per due anni ha tentennato, ma poi ha fatto la sua scelta. Seppure, a guardar bene, Marusja non avesse altro da scegliere.
Tutta la nostra via stava in ansia a vedere come si sarebbero evoluti gli eventi. Queste son cose, si sa, che qui da noi si prendono sul serio.
Noi, significa sei edifici in mattoni attorno ad un supermarket, abitati prevalentemente da russi. Cioè, da ex cittadini sovietici. Oppure, come scrivono i giornali, da emigrati della «terza ondata».
Il nostro quartiere si estende dalla rete ferroviaria fino alla sinagoga. Un po’ più a nord, c’è il Meadow lake, a sud il Queens Boulevard. E noi stiamo in mezzo.
La Centottava Strada è la nostra arteria principale.
Noi abbiamo negozi russi, asili, fotografi e parrucchieri russi. C’è un agenzia di viaggi russa. Ci sono avvocati russi, scrittori, medici ed agenti immobiliari russi. Ci sono gangster e matti russi. Prostitute russe. C’è persino un suonatore cieco russo.
Da noi gli abitanti del posto sono considerati alla stregua di stranieri. Se sentiamo parlare inglese, ci mettiamo subito in guardia. In questi casi, chiediamo con insistenza:  
– Parli russo!
È finita che alcuni abitanti si sono messi a parlare il russo. IL cinese della tavola calda mi saluta sempre in russo:
– Buongiorno Solženicyn! – (A lui vien fuore Soloseniza).

[(Mi sono accorto adesso che hanno ristampato) Sergej Dovlatov, Straniera, a cura di Laura Salmon, Palermo, Sellerio 2016 (4), pp. 11-12]