sabato 13 Ottobre 2012
Rispetto ad altre formazioni linguistiche analoghe sparite senza lasciar traccia, il cispadano ebbe la ventura d’esser assunto a strumento espressivo della poesia popolaresca da uno scrittore dialettale romano, Adolfo Giaquinto, che in cispadano compose un intero poemetto, Franciscandonie all’Afreca, e altri scritti. Nel sonetto Er coco che parla all’avventore, ad esempio, a forme romanesche come dichi e vôle si alternano forme meridionali, abruzzesi o ciociare, come faciole, sceriole, cu per co, lu ecc.:
Si lei, signore, dichi cosa vôle
abbiame cappeline e cappellette,
pastine in brote, baccalà in guazzaette,
e ummete de manze cuffaciole.
Vulete pescie n’ummete, sceriole?
Te faccie ‘n bel piattine de spaette?
Pummatore arrepiene nu l’ho dette
ca c’è remaste un pummatore sole.
Vulisse spezzatini de vitelle?
Cutalette appanate, manze all’osse,
frittate co’ bresciutte alle padelle?
Rignone? è tremmenate stamattine.
T’arroste ‘na bestecca bella grosse?
Parecchie a lu signore, Serafine!
[Tullio De Mauro, Storia Linguistica dell’Italia unita, Bari-Roma, Laterza 2011, p. 152]
giovedì 11 Ottobre 2012
Ci si è spesso lamentati dello stile «pseudoumanistico» e delle «perifrasi inutili» frequenti nella prosa giornalistica di colore e di commento politico o sportivo, fenomeno, del resto, non soltanto italiano; ma proprio per la via dell’abuso queste formule stilistiche si sono logorate e i loro elementi costituitivi sono andati cadendo in desuetudine. Durante ancora il fascismo, anche fra i giornali fedeli a quella parte politica non mancò chi si avvide del rapido invecchiamento della macchina fraseologica costruita a celebrazione delle persone e degli atti della dittatura fascista: alquanto pateticamente, un giornalista celato sotto lo pseudonimo di Piccola guardia lamentava che aggettivi come ardente, travolgente, indefettibile, oceanico, incontenibile, formidabile, entusiastico non potessero più attribuirsi seriamente a sostantivi come manifestazione, invocazione, fede, grido, esclamazione («Critica fascista» 15 aprile 1941). Di questi nessi e frasi si era fatto una sorta di scherzoso catechismo che circolava nelle redazioni dei giornali:
– Come è il Duce?
Magnifico. Invitto e invincibile. Insonne.
_ La sua figura?
Maschia.
– La sua sagoma?
Romana. O anche: forgiata nel bronzo…
– Come sono le sue legioni?
Quadrate.
– E i fedeli?
Della vigilia. Della dura vigilia…
– Come si arriva alle immancabili mete?
Nudi…
– Come sono le democrazie?
Agnostiche e imbelli…
A tenere lungamente in vita questi nessi anche logorati provvidero le «note di servizio» impartite dall’ufficio centrale della stampa; ancora nel giugno del 1943 ne veniva inviata una così fatta: «Sensibilizzare l’annunzio in prima pagina del discorso del Duce. (Grande, vivido discorso, o altra aggettivazione del genere)».
[Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Roma-Bari, Laterza 2011, pp. 115-116]