venerdì 8 Gennaio 2016
È uscita da poco, per Frassinelli, una nuova edizione di On writing, di Stephen King, un libro a metà tra il manuale di scrittura e l’autobiografia. Chi, come me, ha letto poco di Stephen King, resterà probabilmente colpito dalla seconda prefazione (ci sono tre prefazioni) che Stephen King comincia così: «Questo è un libro breve perché la maggior parte dei manuali di scrittura creativa sono pieni di stronzate» (la traduzione è di Giovanni Arduino).
Dopo, nella prima parte del libro, che si intitola “Curriculum vitae”, e che è una parte sostanzialmente autobiografia, King, che è del 1947, scrive: «Soffermandosi a rifletterci sopra, sono parte di un gruppo abbastanza esclusivo: l’ultimo pugno di romanzieri americani che ha imparato a leggere e scrivere prima di una dieta quotidiana a base di stronzate video». Che vuol dire, se non ho capito male, che lui e i suoi coetanei guardavano poco la televisione, e che questo è un bene.
Poi si racconta di quando King ha cominciato a scrivere, che aveva sei anni: «Copiavo parola per parola le avventure di Combat-Casey (un fumetto di guerra, se non ho capito male) sul bloc-notes, talora aggiungendo mie descrizioni dove sembravano più opportune. “Erano accampati in un grande cascinale, tormentati dai pifferi”. Avrei impiegato un altro paio d’anni – continua King – a scoprire che piffero e spiffero erano due parole diverse. A quei tempi ero anche convinto che dettagli fosse uguale a dentali e che una troia fosse una stanga di donna, perché i giocatori di pallacanestro venivano spesso chiamati figli di troia durante le partite. A sei anni, hai ancora la testa piena di tessere dello Scarabeo mischiate alla rinfusa». Continua a leggere »
domenica 27 Dicembre 2015
E scrive, Stephen King, che «La similitudine zen è uno dei tanti possibili trabocchetti del linguaggio figurato. La più comune (al solito, cascarci dentro dipende spesso da una scarsa quantità di letture) consiste nell’uso di immagini, metafore e paragoni stereotipati. Correre come un pazzo, bella come il sole, furbo come una volpe, forte come un leone… per favore, non infierite su di me, o chiunque altro, con questo vecchiume. Rischiate di sembrare svogliati o ignoranti, il che non gioverà alla vostra reputazione di scrittori.
A ogni modo, – continua Stephen King, – le mie similitudini preferite in assoluto arrivano dalla narrativa hard boiled degli anni Quaranta-Cinquanta e dagli eredi della tradizione pulp. Tra le tante, “Era una notte scura come un grande buco di culo” (George V. Higgins) e “Accendersi una sigaretta [che] aveva il saporaccio di un fazzoletto da idraulico” (Raymond Chandler)».
E adesso, al di là dell’idea delle cose preferite, che io non lo so quali sono le mie similitudini preferite, forse queste qua di Ammaniti e Hotakainen: clic, però, intanto che leggevo questo pezzetto di Stephen King mi è venuto in mente l’inizio di una poesia di Chlebnikov, «Le ragazze, quelle che camminano, con stivali di occhi neri, sui fiori del mio cuore» e un pezzo di Viktor Šklovskij che dice così: «Le sei del mattino. Fuori, nella Kaiserallee, è ancora buio. A te si può telefonare alle 10.30. Quattro ore e mezzo, e poi ancora venti inutili ore, ed in mezzo la tua voce. Mi è odiosa la mia stanza. Non amo la mia scrivania, sulla quale scrivo lettere, solo a te. Sono seduto qui, innamorato come un telegrafista. Sarebbe bello procurarsi una chitarra e cantare».
sabato 26 Dicembre 2015
Sto leggendo On Writing di Stephen King, oggi lo finisco, e, magari mi sbaglio, mi sembra un atteggiamento stranissimo e affascinante, quello di Stephen King, salta di pari il novecento, è come se non esistessero Pirandello, Svevo, Kafka, Hašek, Queneau, Camus, Čechov, Brodskij, ma anche, non so, Philip Roth, per esempio, e adesso mi devo alzare perché scrivo steso sul letto e ho sentito un rumore, in cucina, come di uno che si alza in piedi che è un rumore strano perché son solo in casa non mi fa bene, a me, leggere Stephen King.
giovedì 24 Dicembre 2015
Copiavo parola per parola le avventure di Combat-Casey sul bloc-notes, talora aggiungendo mie descrizioni dove sembravano più opportune. «Erano accampati in un grande cascinale, tormentati dai pifferi». Avrei impiegato un altro paio d’anni a scoprire che piffero e spiffero erano due parole diverse. A quei tempi ero anche convinto che dettagli fosse uguale a dentali e che una troia fosse una stanga di donna, perché i giocatori di pallacanestro venivano spesso chiamati figli di troia durante le partite. A sei anni, hai ancora la testa piena di tessere dello Scarabeo mischiate alla rinfusa.
[Stephen King, On writing, traduzione di Giovanni Arduino, Milano, Frassinelli 2015, p. 14]