giovedì 28 Novembre 2013
Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente.
Al centro, niente.
Cala il sipario. Fine del primo atto.
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 2009, p. 13]
mercoledì 6 Marzo 2013
Vivere, è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male. O, se si preferisce:
ATTO PRIMO
Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente.
Al centro, niente.
Cala il sipario. Fine del primo atto.
ATTO SECONDO
Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente.
Al centro, una tenda.
Cala il sipario. Fine del secondo atto.
TERZO E ULTIMO ATTO
Una voce (off): A nord, niente. A sud, niente. A est, niente. A ovest, niente. Al centro, una tenda, e,
davanti alla tenda,
un attendente che si sta lucidando un paio di stivali
CON LUCIDO «LION NOIR»!
Cala il sipario. Fine del terzo e ultimo atto
(Autore ignoto. Imparato verso il 1947, ricordato nel 1973)
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Milano, Bollati Boringhieri 2009, pp. 12-13]
lunedì 15 Ottobre 2012
Metto un quadro su un muro. Poi dimentico che c’è un muro. Non so più che cosa c’è dietro il muro, non so più che c’è un muro, non so più che questo muro è un muro, non più che cos’è un muro. Non so più che nel mio appartamento ci sono dei muri, e che se non ci fossero muri, non ci sarebbe l’appartamento. Il muro non è più ciò che delimita e definisce il luogo in cui vivo, ciò che separa dagli altri luoghi in cui gli altri vivono, non è più che il supporto per il quadro. Mi dimentico anche il quadro, non lo guardo più, non lo so più guardare. Ho messo il quadro sul muro per dimenticare che c’era un muro, ma dimenticando il muro dimentico anche il quadro. Ci sono i quadri perché ci sono i muri. Bisogna poter dimenticare che ci sono dei muri e quindi non si è trovato niente di meglio che i quadri. I quadri cancellano i muri. Ma i muri uccidono i quadri. Oppure, bisognerebbe cambiare di continuo, o il muro, o il quadro, mettere senza posa altri quadri sui muri, o cambiare sempre il quadro di muro.
Si potrebbe scrivere sui propri muri (come si scrive a volte sulle facciate delle case, sulle palizzate dei cantieri, sulle mura delle prigioni), ma non lo si fa che rarissimamente.
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1989, p. 50]
sabato 15 Ottobre 2011
Si potrebbe scrivere sui propri muri (come si scrive a volte sulle facciate delle case, sulle palizzate dei cantieri, sulle mura delle prigioni), ma non lo si fa che rarissimamente.
[Georges Perec, Specie di spazi, cit., p. 50]
martedì 22 Marzo 2011
Penso a te, spesso
talvolta entro in un caffè, mi siedo vicino alla porta, ordino un caffè
poso sul tavolino di finto marmo il pacchetto di sigarette, una scatola di fiammiferi, un blocco, il pennarello
giro a lungo col cucchiaino il caffè nella tazza (eppure non zucchero il caffè, lo bevo lasciando sciogliere una zolletta in bocca, come la gente del Nord, come i russi e i polacchi quando bevono il tè)
Faccio finta di essere preoccupato, di riflettere, come se dovessi prendere una decisione
In alto e a destra del foglio di carta, scrivo la data, a volte il luogo, a volte l’ora, faccio finta di scrivere una lettera
scrivo lentamente, molto lentamente, il più lentamente possibile, traccio, disegno ogni lettera, ogni accento, verifico ogni segno di punteggiatura (…)
Fuori c’è un po’ di sole
il caffè è quasi vuoto
due imbianchini bevono un rum al banco, il padrone sonnecchia dietro alla cassa, la cameriera pulisce la macchina del caffè
penso a te
cammini nella strada in cui abiti, è inverno, hai rialzato il bavero della tua pelliccia di lupo (…)
[Georges Perec, Specie di spazi, cit., pp. 66-67]
domenica 21 Novembre 2010
Non si pensa abbastanza alle scale.
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberto Delboni, Torino, Bollati Boringhieri 1989, p. 49]
lunedì 20 Settembre 2010
Il tempo che passa (la mia Storia) deposita residui che si accumulano: foto, disegni, feltri di pennarello da tempo asciugati, cartelline, vuoti a perdere e vuoti a rendere, imballaggi di sigari, scatole, gomme, cartoline, libri, polvere e soprammobili: ed è quello che io chiamo la mia fortuna.
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 2008. p. 34]