Sobrio
Quando c’era il Semplice, che è una rivsita che c’era un po’ di anni fa, un almanacco delle prose pubblicato da Feltrinelli, i redattori del Semplice facevano delle riunioni e leggevano i racconti che arrivavano alla redazione e poi ne parlavano.
Io ho partecipato a una sola di queste riunioni, poi non ci sono più andato perché c’era una certa aria ospedaliera, la rivista stava per finire e un po’ si vedeva. Però ho continuato a frequentare alcuni di questi redattori, in particolare Daniele Benati e Ugo Cornia, che erano tutt’altro che ospedalieri, nel loro modo di fare e nelle cose che dicevano. E da questa frequentazione mi sono fatto un’idea di quello che succedeva nelle riunioni del Semplice, nelle prime, quelle quando la rivista era ancora viva e vegeta e era bellissima.
Secondo me, lì al Semplice, usavano un gergo particolare. Se di una cosa si diceva che era ben scritta, voleva dire che non andava bene. Voleva dire che era solo ben scritta, e non aveva nessun’altra qualità. Impossibile da pubblicare.
Se di una cosa si diceva che era strampalata, voleva dire che andava bene. Voleva dire che era strampalata, e dir strampalato, per quelli che facevano il Semplice, secondo me equivaleva a dir Bello molto.
L’altra sera, alla scuola elementare di scrittura emiliana, mi son trovato a dire che un racconto che è stato letto era sobrio, e poi ho subito detto che sobrio, secondo me, va molto bene, e poi ho fatto un lungo discorso su Beckett che ultimamente io Beckett lo cito ogni volta che ne ho l’occasione.
Stamattina poi, davanti alla biblioteca sala borsa, poco prima che perdessi la mia tessera della sala borsa numero 54, che non trovo più, e mi dispiace, ho incontrato una mia amica che si è iscritta alla scuola elementare di scrittura emiliana e che mi ha detto che ha visto questo sito e che secondo lei era sobrio. E io un po’ ero contento ma un po’ anche no.