venerdì 24 Febbraio 2012
È uscito da poco, per I coralli di Einaudi, Il bambino indaco, di Marco Franzoso, scrittore che ha esordito quattrodici anni fa con Westwood dee-jay (Baldini & Castoldi, 1998). Il protagonista di quel romanzo d’esordio è Westwood, “el piòe emportante dee-jay del Nord-Est”, e il libro comincia con un “Invito-riduzione” della discoteca dove Westwood lavora, l’Eneide, dove si dice che “L’è in discoteca che miglioni, ripeto, miglioni de giovani, in ‘sti ani de ribelión contra le convensión, s’incontra e se confronta”. Dopo l’invito-riduzione c’è una lettera che Westwood riceve da un’ammiratrice: “Caro Westwood, t’ho vedùo a l’Eneide, en consolle, e me sei piasùo. T’ho anca vedùo a l’Excalibur, sempre en consolle, e anca lì me sei piasùo. Poi t’ho vedùo a lo Stranger de Mestre, e lì non me sei piasùo, ch’io te salutavo e ti me facevi i corni. Perché me facevi i corni, Westwood?, che io te seguo sempre ovunque te vai e parlo bén de ti a tutte le compagne de classe? Eh?”. Il resto del romanzo racconta il rapporto tra questa ammiratrice, che si chiama Katia, e “el piòe emportante dee-jay del Nord-Est”, ed è tutto giocato sull’uso di un veneto comprensibilissimo che a me ha ricordato, forse a torto, quello di Giacomo Noventa. La trama di questo primo romanzo, che coincide, in sostanza, con la storia della relazione tra Katia e Westwood, sembra sia quasi completamente piegata all’uso di una lingua che rende lo stupefacente universo del protagonista. Per Westwood, in quel “luogo più vago dell’Oceano de Marte” chiamato Mestre, “c’era el ceto dei rapresentanti de comercio – eleganti, soridenti – e el ceto dei tossici. E poe, c’era el ceto delle fighe – infinìo, lustrante – e el ceto dei dee-jay, el suo ceto, – de cui lui era stato, almeno fin lì, un membro rilevante, ascoltato, e, disemo, de enorme tendénsa. Quanto al resto dea società, esso gli appariva come perdùo e quasi non esistente, chiuso in una nebulossa de nebbia e gaz, sospeso come in un sogno privo de mussica, sordo, anzi, sanza contorni e sanza gioia”. Continua a leggere »
sabato 10 Dicembre 2011
Dopo, ieri, sono andato a Cesena, a parlare a degli studenti di architettura, e l’ultima domanda che mi hanno fatto è stata, più o meno, Ma tu che parli di una lingua concreta, di una vicinanza al dialetto, cosa ne pensi di Pier Paolo Pasolini.
Guarda, gli ho detto io, il fatto quotidiano han pubblicato oggi una cosa, aspetta eh, ce l’ho nella borsa, lo prendo, e ho aperto la borsa, ho preso il fatto quotidiano, l’ho aperto e ho letto:
Uno parla di Matera, qualcuno tira fuori Pasolini, parla di calcio, la grande passione di Pasolini, parla di cinema, c’è sempre uno che cita Pasolini, parla di aborto, da qualche parte salta fuori Pasolini, parla di chiesa, la controversa spiritualità di Pasolini, parla di manifestazioni, neanche da dire, Valle Giulia e Pasolini, parla della fauna emiliana, saltan fuori le lucciole di Pasolini, parla di poesia dialettale, c’è sempre qualcuno che ha letto Pasolni, accende la radio, dopo un minuto Pier Paolo Pasolini, va bene.
Non dico niente, va bene.
venerdì 9 Dicembre 2011
Uno parla di Matera, qualcuno tira fuori Pasolini, parla di calcio, la grande passione di Pasolini, parla di cinema, c’è sempre uno che cita Pasolini, parla di aborto, da qualche parte salta fuori Pasolini, parla di chiesa, la controversa spiritualità di Pasolini, parla di manifestazioni, neanche da dire, Valle Giulia e Pasolini, parla della fauna emiliana, saltan fuori le lucciole di Pasolini, parla di poesia dialettale, c’è sempre qualcuno che ha letto Pasolni, accende la radio, dopo un minuto Pier Paolo Pasolini, va bene.
Non dico niente, va bene.
[Uscito oggi su Saturno, inserto del Fatto quotidiano]
sabato 3 Dicembre 2011
Ho corretto le bozze di una traduzione che uscirà l’anno prossimo, Oblomov, di Gončarov. Ho corretto delle sviste, degli errori, ho integrato delle parti di testo che avevo saltato e ho rifiutato le proposte della redazione di sostituire delle ripetizioni con dei sinonimi. Ogni pagina c’erano tre o quattro ripetizioni per ciascuna delle quali mi venivano proposti due o tre sinonimi. In totale, su 550 pagine, 4.800 sinonimi circa e non ne ho accettato neanche uno perché Gončarov, le ripetizioni, le usa. Ho pensato che era un peccato, tanto lavoro per niente, e mi è tornata in mente la prima traduzione di American Psycho, di Bret Easton Ellis. Nella prima pagina dell’originale, Ellis ripeteva tre volte la parola bus; il traduttore, invece, il primo bus lo traduceva: autobus; il secondo: corriera; il terzo torpedone.
[Uscito ieri su Saturno, inserto letterario del fatto quotidiano]
venerdì 25 Novembre 2011
L’altra sera, alla libreria Blu di Pordenone, un ragazzo molto simpatico, che fa il casellante, e che mi è sembrato un grande lettore, si chiama Renzo Cagol, mi ha fatto notare un libro, uscito da poco per Neri Pozza, il romanzo La stanza dell’eco, dello scozzese Luke Williams, il primo romanzo di questo scrittore scozzese nato nel 1977.
La stanza dell’eco è stato pubblicato nel 2011 e subito tradotto in italiano, e ha in copertina questa nota di W. G. Sebald: «Una scrittura straordinaria, priva di qualsiasi imperfezione».
«Te che ne sai, – mi ha detto l’altra sera Renzo Cagol, – ascoltami un attimo. Dal momento che Sebald è morto nel 2001, come è possibile questa faccenda qui?».
«Eh, – gli ho detto io, – non ne ho idea».
[uscito oggi su Saturno, inserto letterario del Fatto quotidiano]
venerdì 18 Novembre 2011
È un po’ di tempo che non sento più parlare dei tq, di quel gruppo di persone tra i trenta e i cinquant’anni che, con diversi ruoli, lavorano nell’editoria e che qualche mese fa si sono riuniti perché loro vogliono incidere sulla realtà e devo dire che, è stranissimo, un po’ mi mancano. Quando sono saltati fuori, con la loro riunione nella sede della casa editrice Laterza, c’ero rimasto uno po’ male perché non mi avevano invitato, e avevo pensato che se mi avessero invitato gli avrei detto di no, che non ci sarei andato. Avevo comunque continuato, dentro di me, a sperare che mi invitassero a qualcuna delle loro manifestazioni e adesso, con la loro scomparsa (o con il fatto che a me sembra che siano scomparsi), sono privato anche di questo piacere, il pensare che prima o poi mi inviteranno e che io gli dirò che, mi dispiace, non ci posso proprio andare.
[uscito oggi su Saturno, inserto del Fatto quotidiano]