I diari in contumacia
Audio (clic)
Cioè mangiare, ho mangiato tre mele, tre Granny smith. Un euro e settanta. Poi sono andato a provare a dormire, in realtà ho cominciato i diari di oggi, sono uscito alle tre, c’era Mariangela Gualtieri, vestita di azzurro, l’avevo vista là in alto, sulla torre, che aveva addosso una palandrana che vista dal basso mi era sembrato Arnoldo Foà nella Freccia nera, che è uno sceneggiato che vedevo da piccolo, da un romanzo di Scott, ambientato in Inghilterra, la guerra delle due rose, avevano quei corpetti di maglia, tipo le cose che si usano adesso per pulire i patti, quelle, non le spugnette, quei fagottini di similferro, eran vestiti così, e Mariangela Gualtieri, vista dal basso, a me era sembrata così, là per aria, invece qui in basso, rasoettera, sembra proprio una donna, e bellissima, con una faccia che è la sua faccia, che la Battaglia, quella bambina di sei anni che ha l’avventura di esser mia figlia, una volta, andavamo in bicicletta, due anni fa, era piccola, avevamo ancora il sellino davanti mi ha detto, d’un tratto, Io non le voglio, da grande, le righe, Che righe? le ho detto io, Le righe nella faccia, mi ha detto lei, e io le ho detto Ah, non c’è problema, ci sono dei medici che ti addormentano, ti tagliano la faccia poi la ricuciono che quando ti svegli non si vede poi niente, e lei ha taciuto un po’ e poi ha detto No, io le voglio, le righe, ecco la Guatlieri, ha una faccia bellissima che a uno quando la vede parlare gli sembra di leggere tutte le volte che ha riso, tutta la fatica che ha fatto, è come una mappa che porta la storia della sua vita, e che cambia col tempo, e a sentirla parlare, dal basso, parla in un modo, non so, quando dice: Ma non vi siete stancati di dipingere l’uomo come una bestia zoppa? Quando dice che anche Caino, poveretto, che ne parlano tutti male, è uno che ha inventato la tecnica, che ha costruito delle città, quando dice, che sopra, là sopra, lei si è ricordata della verticalità, e a me viene in mente che io, anche se non ci penso mai, cammino nel cielo, e che noi, tutti, camminamo nel cielo, e io ho l’impressione, tutti abbiamo avuto un lutto, diceva l’altro giorno Franco Nasi, ecco io ho l’impressione che i miei morti, mio nonno, mia nonna, mio babbo, anche se avevano studiato meno di me, o forse proprio per quello, e anche se vivevano in un’epoca meno sofisticata dei quella in cui vivo io, o forse proprio per quello, io ho l’impressione che loro lo sapevano meglio di me, che camminiamo nel cielo, e grazie al cielo, avevano ciascuno la sua faccia, son morti con la sua faccia, e morire con la sua faccia, per uno, soprattutto per noi che abbiamo studiato, e che viviamo in un’epoca così complicata, è già un obiettivo che io, come dicono a Parma, ci farei la firma. Continua a leggere »
Si sente? Grazie. Buonasera.
Da qualche settimana ho un telefono nuovo, l’altro mi ci son seduto sopra, sull’autobus, non funzionava più, allora, non so perché, mi sembrava impossibile, stare un pomeriggio senza telefono, metti che succedeva qualcosa a mia figlia, che chiamarla mia figlia mi fa un po’ impressione la chiamo la Battaglia, metti che la Battaglia mi cercava poi se non mi trovava si preoccupava, pensavo io, venti minuti dopo che mi ero accorto che il telefono non funzionava più sono entrato nel primo centro Vodafone che ho trovato ho presto il primo telefono che mi hanno offerto solo che è un po’ complicato, per me, e ieri mattina, avevo messo la sveglia telefonica, non ero sicuro che funzionasse, e funzionare ha poi funzionato, solo che non riuscivo a spegnerla. Ci ho messo, tipo, due minuti, appena sveglio, alla fine ho capito che ti manda un messaggio e tu devi leggere questo messaggio e dopo allora si spegne.
Quel pomeriggio lì, quando avevo comprato il telefono, la Battaglia era venuta poi a casa mia, aveva scritto, su una seggiolina di legno con un banchetto che a voltarlo diventa una lavagna col pallottoliere e che ha più di quarant’anni e che è stata prima di mio fratello grande, poi mia, poi di mio fratello piccolo e adesso è sua, ci ha scritto, incidendo bene il legno che non viene più via: Questa casa è una prigione.
Dopo, quando ho preso l’autobus, ieri mattina, c’era un signore, alla fermata dell’autobus, su via Porrettana, a Bologna, che aveva due braghe corte, azzurre, e una maglietta a righe, marrone e blu, e un paio di scarpe da ginnastica, bianche, e dei calzini corti, grigi, e aveva due borse, che aveva posato per terra, e dopo ha visto che arrivava un autobus, ha preso su le borse da terra e poi, quando l’autobus è stato vicino le ha posate ha guardato da un’altra parte come a far finta che la cosa non lo interessava.
Comincio a essere anche un po’ stanco. Non per il fatto di essere qui, se non fossi qui, sarei ancora più stanco, credo. Comincio a esser un po’ stanco così, non lo so neanch’io, perché Continua a leggere »
Ecco. Questo era il bis. Adesso cominciano i diari veri e propri.
Si sente? Grazie. Buonasera. Mi presento, mi chiamo Paolo Nori, sono di Parma, ho 48 anni, compiuti da poco, e mi hanno chiesto di fare i diari del festival di quest’anno, i fine settimana, e sono venuto e li ho fatti venerdì sabato e domenica scorsi e sono tornato per rifarli venerdì sabato e domenica questi, e comincio adesso.
Dunque, io, di solito, faccio così, che vado in giro e vedo quello che riesco a vedere, e sento quello che riesco a sentire, e prendo degli appunti e poi mi metto a scrivere, rileggo, metto a posto, e così avrei dovuto fare anche oggi, cioè arrivar stamattina, andare in giro, prendere appunti, scrivere, mettere a posto e poi venire qua a leggere, solo che oggi, ho pensato che facevo in un’altra maniera.
Perché a far così, non so, sabato scorso, per esempio, al mattino, c’è stato un convegno, al super cinema, sull’attore, che a me sarebbe piaciuto andarci, nei convegni di solito la gente dice delle cose che sono bellissime, da metter dentro nei diari, solo che io, sabato mattina, dovevo scrivere i diari da dire poi alla sera, perché al pomeriggio non avrei potuto scriverli perché avrei dovuto andare a vedere le cose da mettere poi nei diari del giorno dopo, cioè lì c’è un problema, non so se è chiaro, per me è abbsatanza chiaro perché ce l’ho avuto anche in altri festival che ci sono andato per scrivere i diari e il problema è nel fatto che, quelli che scrivono i diari, non han mica di tempo di vedere tutto quello che c’è, per via che devono scrivere i diari.
Dovrebbero essere quelli che non scrivono i diari, che han tempo di vedere tutto, a scrivere i diari, solo che se scrivessero i diari diventerebbero quelli che scrivono i diari, e allora saremmo daccapo, come si dice, e ci troviamo di fronte a un problema irresolubile, una specie di spread, è un periodo che va molto di moda la parola spread, che signfica scarto, nel senso di gradino, a Parma si dice Pèca, se andate a Parma e fate un ragionamento anche interessante che però ha un difetto vi dicono Sì, però a gh’è na pèca. Allora voi chiedetegli Che pèca? E loro ve lo spiegano. Continua a leggere »
Sì sente? Grazie. Buonasera. Vi chiedo un favore. Siccome da qualche giorno mi sono abituato che, dopo i diari, che dovrebbero durare un quarto d’ora, io approfitto di una deroga che mi han dato Ermanna e Marco e finisco con una specie di bis che dura magari altre cinque minuti, volevo farlo anche stasera, solo che i diari di stasera son fatti in un modo, hanno un finale, che dopo quel finale lì ti passa la voglia, di chiedere e di fare dei bis, allora, quando succede così ogni tanto lo faccio, e lo faccio anche stasera, volevo chiedervi se non sareste così gentili da chiedermelo prima, il bis.
Grazie. Sono contento. No sono contento perché questo bis, in un certo senso, smentisce una cosa che mi avevano detto appena arrivato qui a Santarcangelo, che a Santarcangelo non ruba nessuno, non ci son furti. Che questa cosa, poi, tra l’altro, è stata smentita anche dai fatti perché sembra che, a una signora, proprio qui nello sferisterio, domenica, di pomeriggio, le han rubato la borsetta. Accompagnava i ragazzi che fan le prove di Majakovskij, che io, non mi son mica sorpreso, perchè Majakovskij è uno che, andarci accnato, non porta mica tanta fortuna, anche se, bisogna dire, ci son stati degli altri casi, qui a Santarcangelo, che hanno rubato, e che Majakovskij non c’entrava niente, adesso a me Majakovskij non mi è mica tanto simpatico ma non è che si può dare sempre la colpa a Majakovskij, rubano anche senza Majakovskij, a Santarcangelo, come è dimostrato dalla poesia che adesso vi leggo e che è di Raffaello Baldini e si intitola I ladri e fa così:
I ladri
Bisogna pregare che non vengano, ma se vengono, è una cosa, ragazzi, i ladri in casa, non è neanche quel che rubano, è quello che lasciano, come fosse passata la tempesta, spaccano, rompono, cagano, io, da me, hanno cagato, per dispetto, davvero, nel salotto, no, se non le provi, certe cose bisogna provarle, non me lo dimenticherò mai quel mercoledì sera, è stato alla fine di maggio, ho capito subito, quando ho girato al roccolo, che ho visto la luce accesa in una camera e la porta accostata che dondolava, mi sono fermato lì appoggiato al muro come se m’avessero inchiodato, non m’arrischiavo a entrare, se c’erano ancora? ho aspettato un bel pezzo, poi per fortuna è venuto su Cornelio, ha visto tutto, ha capito, è voluto andare avanti lui, poi mi ha chiamato, e quel che ho trovato, è la mia casa, questa? non si capiva più niente, il finimondo, e lì, vuoi piangere? mi sono tolto la giacca, mi sono fatto all’ingresso, dal cassettone, che l’avevano svuotato, tutta la roba in giro, poi il corridoio, le camere, e sta’ buono che la Dina era fuori, a Rimini, a trovare sua sorella, ci stava anche a dormire, sono andato avanti tutta la notte, alle tre, oh, adesso ci siamo, è ancora la mai casa, e la mattina dopo, quando è arrivata, sì, avevano rotto qualche piatto, una zuppiera, due tre bicchieri, il vetro del diploma, avevano anche squartato i cuscini del divano, chi sa quel che credevano, che tenessimo i soldi ancora nella calza, alle otto era venuto Curio della Seconda a riparare la serratura, insomma, lei non s’era accorta di niente, aveva un mazzo di fiori, è andata dritto in cucina, li ha posati nel catino, ha fatto correre l’acqua, ha brontolato che avevo tenuto tutto chiuso, ha messo a posto delle cose sulla credenza, e io zitto, aspettavo il momento buono, non volevo spaventarla, ma è venuta la Morena, apriti cielo, gli strilli, le escalamazioni, che l’ho sgridata, la Dina era diventata bianca come un panno lavato, s’è toccata la collana, i braccialetti, s’è guardata attorno, è andata nella nostra camera, apriva tutto, era un carabiniere, poi nelle altre camere, contava, coperte, lenzuoli, federe, tovaglie, asciugamani, camicie, giacche, tutto, ha contato, ha ricontato, non mancava niente, s’è buttata a sedere su una sedia, seria, poi di colpo una risata Continua a leggere »
Mio babbo che mi ha svergognato,
che ha perso tutte le battaglie,
mio padre che era bugiardo,
mio padre che bestemmiava i santi
e poi si metteva in ginocchio
davanti le madonnine,
mio padre che era bello
e si guardava nello specchio,
mio padre che era povero,
che era ambizioso, che cantava,
mio padre che non mi ha insegnato nulla,
mio padre che tutti lo fregavano,
mio padre che non sapeva il latino
e poco anche l’italiano,
che dall’America è tornato
con un penny e tre parole d’inglese,
mio padre che voleva «commendatore»
scritto sopra la busta,
mio padre fra i padri il più sgangherato
ha scritto dentro di me
tutte le mie poesie.
[Fine del discorso di Santarcangelo di domenica 10 luglio, tratto da Nino Pedretti, Al Vouṣi e altre poesie in dialetto romagnolo, cit., pp. 190-191]
Si sente? Grazie. Buonasera. Io, lo dico per quelli che non c’erano ieri, mi chiamo Paolo Nori, sono di Parma, ho quarantotto anni, e sono qui perché mi han chiesto di fare i diari del festival, cioè, praticamente, tutte le sere, di raccontare quel che ho visto del festival e intorno al festival, qui in paese a Santarcangelo, che per me è un posto un po’ esotico che non ci ero mai stato prima, cioè a dire il vero c’ero stato una volta tanti anni fa, un giorno, a un convegno di critici, qui sopra nella rocca, su questa altura che, ho scoperto ieri, vien chiamata, dagli indigeni, monte Giove, per via che ci si fa il sangiovese, mi han detto, cioè per via che quando hanno fatto il vino per la prima volta, mi ha detto un mio amico che si chiama Alex, han visto che il vino era tanto rosso che han pensato che era come il sangue di Giove, e gli è piaciuto così tanto che l’hanno santificato, e l’han chiamato San Giovese, e il monte, monte Giove. Mica come a San Marino che non hanno neanche una vite che fanno il Moscato, il Moscato di San Marino che i tedeschi ne han bevute tante di quelle bottiglie, mi ha detto un altro mio conoscente che ha chiesto di restare anonimo. Ecco io queste cose qua, di Santarcangelo, non le sapevo, e e c’erano anche diverse altre cose, che non sapevo, per esempio che a Santarcangleo non ruba nessuno, non ci son furti, e che c’è un attenzione per i bottoni che ha determinato la nascita, a Santarcangelo, in una via qui laterale, di un museo del bottone. Queste cose me le ha dette il mio albergatore. Se volete lo potete andare a vedere. Una delle cose che vi diranno, forse, mi han spiegato ieri, non l’albergatore, un mio amico che fa il bagnino a Riccione e che ho visto ieri sera sul tardi e che lui c’è stato, se ci andate, al museo del bottone, una delle cose che vi diranno è la risposta a una domanda che non so se ve l’eravate mai fatta, io si, vale a dire: come mai le giacche da uomo sulle maniche, hanno dei bottoni? Che non servono praticamente a niente? La risposta sarebbe che una volta, tanti anni fa, la Regina d’Inghilterra, dopo una parata militare, è venuta via un po’ di malumore perché c’eran molti soldati che avevan le maniche sporche di candela, nel senso di muco, quella roba che esce dal naso, non so come la chiamate in Romagna, noi a Parma diciamo candela. Di conseguenza, mi ha detto il mio amico bagnino, la regina d’Inghilterra avrebbe ordinato al sarto dell’esercito di mettere dei bottoni sulle maniche della giacca così i soldati inglesi non si son più potuti pulire il naso nelle maniche delle giacche, mi ha detto un mio amico bagnino che vi direbbero se andaste al museo del bottone, che è qui vicino.
[Inizio della seconda giornata dei diari di Santarcangelo]
Ho cominciato a vedere una cosa di Igort, un video, alla scuola elementare, che parlava di Russia, di Ucraina, Siberia, e diceva che lui faceva il contrario di quello che fanno a teatro, cioè da delle storie vere, che scuotono quelli che le hanno vissute, e che hanno scosso lui che le ha sentite raccontare, lui doveva tirar fuori delle st… E finiva così, sulla t di st. M’è venuto anche il dubbio che l’avesse anche fatto apposta, ma durava proprio pochissimo. Cominicam bene, ho pensato. L’ho detto alla ragazza, che c’era lì, e intanto ho pensato Ecco, la prima cosa che vedo, comincio subito a fare il rompicoglioni. Dopo la ragazza è stata molto comprensiva, mi ha dato anche ragione, e mi ha accompagnato a guardar la seconda che era un video di una signora che si chiama Ulla Ulla Von Brandenburg, e dev’essere ceca, della repubblica ceca, e è un piano sequenza che dura un quarto d’ora, e è girato in un edificio che sembra una scuola, e invece c’era scritto che era una casa costruita da Le Corbusier, se non ho capito male, e io, ero lì, da solo, in questa stanzetta, a vedere un filmino, dura un quarto d’ora, in bianco e nero, e c’era un’aria, e a me è venuto in mente che il teatro, le poche volte che ho avuto a che fare con il teatro, non so se riesco a dirlo bene, ma c’è un pezzetto di Bruno Munari che dice che una sua amica gli aveva chiesto un consiglio per fare un regalo, e lui, quell’anno lì, aveva cominicato a guardare i negozi e si era molto stupito di trovare dei portaombrelli a forma di stivale, dei cavatappi a forma di pesce, degli orologi a forma di bottiglia, degli accendisigari a forma di locomotiva, e così via. Ecco il teatro, mi è venuto in mente a veder il video di Ulla Von Brandenburg, una cosa che ti succede, a teatro, che ritrovi una cosa stranissima, che i portombrelli sono portaombrelli, i cavatappi sono cavatappi, gli orologi sono orologi, gli accendisigari sono accendisigari, e così via. E quello lì, oggi, è stato forse il primo momento che non mi son chiesto perché ero qui, che ci avevo trovato il verso, e è passato ormai un quarto d’ora e, dopo essermi scusato perché, praticamente, non ho detto niente, e dopo aver ringraziato quelli che hanno avuto la bontà di ascoltare quello che non ho detto, io per oggi mi fermerei qui.
[Finale dei diari di Santarcangelo di venerdì 8 luglio]
Venerdì 8, sabato 9
e domenica 10 luglio,
a Santarcangelo,
allo sferisterio,
alle ore 22 e 30 circa,
i diari del festival
(dura 15 minuti)