giovedì 22 Maggio 2014

J. D. Salinger trascorse dieci anni a scrivere Il giovane Holden e il resto della sua vita a rimpiangere di averlo fatto.
[David Shields, Shane Salerno, Salinger. La guerra privata di uno scrittore, traduzione di Lorenzo Bertolucci e Paolo Caredda, Milano, Isbn 2014, p. XI]
venerdì 3 Maggio 2013
[Copio qua sotto un pezzetto che doveva uscire oggi su Libero e non è uscito (non scrivo più su Libero, trallallà)]
Mettendo a posto i miei libri mi sono accorto di avere un’edizione sovietica del Giovane Holden, il celebre romanzo di Salinger. Il giovane Holden è un libro che era stato pubblicato e diffuso, in Unione Sovietica, per dimostrare che in occidente la gioventù era corrotta. Holden, dice l’introduzione della mia copia sovietica del Giovane Holden, era un misantropo, un brontolone, un instabile, un pigro, uno che mentiva anche quando non ce n’era nessun bisogno, un inaffidabile egoista, uno il cui ideale era andare a lavorare in macchina, o in autobus, passando per Madison Avenue, leggere i giornali, giocare a bridge tutte le sere e andare al cinema, uno che di sé diceva, continuamente «No, io comunque son poco normale». Ecco. Nonostante questa cattiva pubblicità, per così dire, Il giovane Holden ha avuto, in Unione Sovietica, un successo straordinario, che mi viene da paragonare al successo che ha avuto un grande libro russo, Moskva-Petuški, di Venedikt Erofeev, il cui protagonista è uno che beve dal mattino alla sera e che vive in un universo, la Mosca della fine degli anni sessanta, dove tutti bevono dal mattino alla sera (sul treno nel quale si svolge l’azione del romanzo, una specie di accelerato che va da Mosca a Petuški fermandosi in tutte le stazioni, nessuno ha il biglietto e tutti pagano la multa al controllore, che consiste nel riempirgli il bicchiere di vodka). Ecco questo libro, scritto nell’autunno del 1969, dopo essere stato diffuso attraverso il circuito non ufficiale del samizdat (autopubblicazione), e dopo essere stato pubblicato in Israele nel 1973 e a Parigi nel 1977, è comparso in Russia in un’edizione ufficiale soltanto nel 1989, in piena perestrojka e nel pieno della campagna promossa da Gorbačëv contro l’ubriachezza, ed è stato pubblicato, inizialmente, su una rivista che si intitolava «Sobrietà e cultura». E a pensare al destino sovietico di questi due libri, Il giovane Holden e Moskva-Petuški, mi è venuto in mente quello che ha scritto Giorgio Manganelli in un saggio del 1967 intitolato La letteratura come menzogna dove ha scritto, mi scuso per la povertà del riassunto ma lo spazio è quasi finito, che la letteratura è come il culo del mandrillo, bellissimo e non serve a niente.
sabato 6 Marzo 2010

Una volta ero a una festa, in Unione Sovietica, a Mosca, nel 93, in un appartamento minuscolo, pieno di gente, con un buffet alla francesce, così avevano detto, avevan ripetuto tre volte, quando mi avevano invitato: «C’è il buffet alla francese», era del formaggio, e dell’insalata; io avevo una barba che mi ero fatto crescere per esser scambiato per russo, la barba più lunga che ho avuto, per pagar meno, dentro i musei, però lì lo sapevano tutti, che ero italiano, e a un certo punto, una ragazza, mi ricordo, mi si era avvicinata mi aveva chiesto qual era il romanzo russo che mi piaceva di più, e io le avevo detto Le dodici sedie, di Il’f e Petrov, e lei mi aveva detto che era strano, che a un occidentale piacesse un romanzo così. Io allora le avevo chiesto qual era il romanzo occidentale che piaceva di più a lei, e lei mi aveva detto Il giovane Holden, di Salinger. «Era proibito?» le avevo chiesto io.
Le avevo chiesto così perché pochi giorni prima mi ero trasferito dall’appartamento in periferia dove abitavo a un’appartamento in pieno centro, dietro il Cremlino, in un grande palazzo che chiamavano la casa sul lungofiume, palazzo riservato ai notabili del partito che venivano promossi e trasferiti a Mosca, e sul quale lo scrittore Trìfonov aveva scritto un romanzo intitolato appunto La casa sul lungofiume. La mia insegnante di russo dell’epoca, saputo che andavo a stare nella casa sul lungofiume, mi aveva chiesto se avevo letto il romanzo di Trìfonov, e io le avevo risposto di no, che non l’avevo letto, e le avevo chiesto se l’aveva letto lei, e lei mi aveva detto «Certo, che l’ho letto, era proibito».
Per questo qualche settimana dopo, a quella festa col buffet alla francese io avevo chiesto alla ragazza alla quale piaceva Il giovane Holden se le piaceva perché era proibito, e lei mi aveva risposto «Proibito? L’ho studiato a scuola».
Ecco. Lo studiavano a scuola.
[È uscito su Rolling Stone di questo mese]