domenica 24 Marzo 2019
Ho bisogno di due piccole premesse.
La prima è molto semplice: secondo me non esiste, la maturità, non esiste. È una balla che ci raccontano quando siamo piccoli, non so perché, non so neanche chi siano, i poteri forti, forse, o gli stessi che hanno inventato Babbo Natale e il purgatorio, comunque non è vera.
La seconda è che, quando mi hanno chiesto di scrivere la prefazione di questo libro di poesie, io ho pensato che non sarei stato capace, e che questo libro meritava un prefatore migliore, e che ho paura di mettere insieme una piccola porcheria; poi mi è venuto in mente che io, da quando son diventato grande, tutte le cose che faccio, ho paura di non esser capace di farle, e mi son ricordato una poetessa che scrive «Non voglio imparare a non avere paura, voglio imparare a tremare»*.
Allora ho pensato “Va bene, tremiamo”.
*Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione, Torino, Einaudi 2018, p. 75
[Tremiamo, introduzione a Chandra Livia Candiani, Vista dalla luna, Milano, Salani 2019]
mercoledì 2 Gennaio 2019
Tra le piccole gioie che rallegrano la nostra esistenza, ricevere un pacco postale, diciamolo apertamente, è senz’altro tra le più grandi. Ecco perché in ogni casa esistono persone che al mattino, tra le undici e l’una e mezzo, vanno continuamente alla finestra e guardano in strada, in apparenza per far riposare la vista, in realtà per spiare l’arrivo del furgone giallo delle Poste. Poche persone per ogni casa, s’intende, ma che in una strada lunga arrivano forse a un centinaio, in una città intera a diverse migliaia, e in tutte le città del mondo migliaia di migliaia, milioni direi. Milioni e milioni di persone affacciate alle finestre sognano che un giorno il furgone giallo delle poste si fermi davanti a casa loro, che il campanello squilli e il fattorino dei pacchi postali si presenti inaspettatamente davanti alla porta: «Prego, signor Taldeitali, qui c’è un pacco per lei», un regalo del destino da Regensburg oppure dal Cile o chissà da dove, da parte di un prozio materno da tempo scomparso. Un pacco nemmeno raccomandato (per ingannare i ladri), avvolto nella solita carta grigia e anonima, pieno di tesori e meraviglie. Eh, sì…
[Reiner Zimnik, Lektro, traduzione di Vincenzo Loriga, Milano, Salani 2000, p. 63-64]
giovedì 10 Maggio 2018
Sentimento sublime, la cui bellezza Puškin ha cantato tante volte nei suoi versi. Insaziabile, doveva esser così affamato di questo sentimento, soprattutto nella sua forma materna, che avendo dedicato tanti versi alla njanja Arina Rodionovna, decise di creare anche nella sua prosa, con la figura di Savel’ič [il servo nella Figlia del capitano], un’altra immagine della devozione materna.
Da ciò, beninteso, non consegue che la madre del poeta non dimostrasse nessunissimo sentimento materno nei suoi confronti. Probabilmente ne dimostrava, ma non abbastanza. E per un poeta è meglio e più salutare non essere amati affatto che doversi accontentare di briciole d’amore.
[Fazil’ Iskander, L’energia della vergogna, traduzione di Emanuela Guercetti, Milano, Salani 2014, p. 143]
lunedì 3 Luglio 2017
Allora io, mi ricordo, dovevo fare qualcosa, non avevo niente da leggere, avevo preso l’antologia di mio fratello, che faceva, secondo me, la prima superiore, e l’avevo sfogliata e ero capitato su un pezzo che si svolgeva in un teatro di Mosca dove c’era un uomo con una giacchetta a quadri, un gatto grande come un ippopotamo (che si dice in russo, me lo ricordo da allora, бегемот – begemót) e i moscoviti che, eran passati dei secoli, eran sempre gli stessi.
Non avevo mai sentito parlare, prima di allora, di quello scrittore, era un certo Bùlgakov.
Qualche anno dopo, facevo il primo anno di università, la mia lettrice di russo mi aveva chiesto su chi avrei voluto fare la tesi, io le avevo detto «Su Bùlgakov», con l’accento sulla u, Bùlgakov.
«Su chi?», mi aveva chiesto lei.
«Su Bùlgakov, – le avevo detto io, – quello che ha scritto Il maestro e Margherita».
«Aah, – mi aveva detto lei, – su Bulgàkav».
E avevo scoperto che si pronunciava Bulgàkav, con l’accento sulla a e con la o che era anche lei quasi una a, il modo che si pronunciava.
Comunque, quel primo giorno, quella mezz’ora pomeridiana che non avevo niente da leggere, lì io, adesso è difficile dir queste cose, ma lì io secondo me ho cominciato a piegar verso il russo, come studi, cioè ha cominciato a manifestarsi allora la tendenza a pensare che avrei studiato russo, nella mia vita, e poi dopo un po’ l’ho studiato davvero ma in un certo senso avevo cominciato subito, da quel romanzo lì, in italiano, lo ero andato a cercare subito in libreria e l’avevo trovato e l’inizio, mi ricorderò sempre quell’inizio, con quella forza che eternamente vuole il male e eternamente compie il bene, e con quei signori che si trovavano in una via di Mosca che si chiamava Malaja Bronnaja, e poi arrivavano nella piazza degli stagni Patriarši e trovavano una signora che aveva un chiosco di bevande e chiedevano dell’acqua minerale, e l’acqua minerale non c’era, allora chiedevano della birra, e la birra non c’era, allora le chiedevano cosa c’era, e lei diceva che c’era del succo d’albicocca.
E mi viene in mente un film che ho visto qualche giorno fa dove c’era un colonnello del KGB che a Mosca, negli anni novanta, raccontava cha in ulica Gor’kij , una strada del centro, una signora era entrata in un negozio aveva chiesto «Non avete della carne?».
E il negoziante aveva risposto «In questo negozio non abbiamo del pesce, la carne non ce l’hanno nel negozio di fronte».
[Da una prefazione al Maestro e Margherita che uscirà, forse, per Salani]
martedì 11 Ottobre 2016
Io non può parlare sempre giusto, qualche volta parla ingiusto.
[Roald Dahl, Il GGG, traduzione di Donatella Ziliotto, Milano, Salani 1987, p. 33]