Il prossimo (secondo Tolstoj)

sabato 9 Marzo 2019

Il più grande peccato di oggi, l’amore astratto per gli uomini, l’amore impersonale per quelli che sono in qualche luogo lontano… Amare gli uomini che non si conoscono, che non si incontreranno mai, è facile! Non occorre sacrificare nulla. E al tempo stesso si è così contenti di sé! La coscienza è ingannata. No. Bisogna amare il prossimo, quello con cui si vive e che dà noia.

[Lev Tolstoj, Conversazione con Teneromo, citato in Romain Rolland, Tolstoj, traduzione di Giulia Passalacqua, Roma, Castelvecchi 2014, p. 94]

Quello che dicono e fanno gli uomini

sabato 2 Marzo 2019

A Parigi, il 6 aprile 1857, lo spettacolo di una esecuzione capitale mostra a Tolstoj «il nulla della superstizione del progresso…».

«Quando vidi la testa staccarsi dal corpo e cadere nel paniere, compresi, con tutte le forze del mio essere, che nessuna teoria sulla ragione dell’ordine esistente poteva giustificare un tale atto. Se anche tutti gli uomini dell’universo, basandosi su qualche teoria, trovassero questo necessario, io saprei che è male: poiché non è quello che dicono e fanno gli uomini a decidere quel che è bene e quel che è male, ma il mio cuore».

[Romain Rolland, Tolstoj, traduzione di Giulia Passalacqua, Roma, Castelvecchi 2014, p. 32]

Prima e dopo la crisi

venerdì 15 Febbraio 2019

Tra il 1885 e il 1887 furono pubblicati a Parigi Guerra e pace, Anna Karenina, Infanzia e Adolescenza, Polikuska, La morte di Ivan Il’ič, le novelle del Caucaso e i racconti popolari. In pochi mesi, in poche settimane, si svelava ai nostri occhi l’opera di tutta una grande vita, in cui si riflettevano un popolo e un mondo nuovi /…/
Questi libri furono per noi quello che il Werther fu per la generazione precedente: lo specchio magnifico delle nostre capacità e delle nostre debolezze, delle nostre speranze e dei nostri terrori. Noi non ci preoccupavamo di accordare tutte queste contraddizioni, né soprattutto di fare entrare quell’anima multipla, in cui risuonava l’universo, in anguste categorie religiose o politiche, come hanno fatto quasi tutti quelli che, in questi ultimi tempi, hanno parlato di Tolstoj, incapaci di sciogliersi dalla lotta dei partiti, abbassando il livello delle loro passioni, alla stregua delle loro sette socialiste o clericali. Come se le nostre sette potessero dare la misura del genio!… E cosa m’importa che Tolstoj sia o no del mio partito? Cerco forse di quale partito fossero Dante e Shakespeare per respirare il loro soffio e assorbire la loro luce?
Noi non dicevamo, come i critici d’oggi: «Ci sono due Tolstoj, quello prima della crisi e quello dopo la crisi; uno è valido, l’altro no». Per noi non ne esisteva che uno e lo amavano interamente. Poiché sentivamo, per istinto, che in anime come quella tutto è coerente, tutto è unito.

[Romain Rolland, Tolstoj, traduzione di Giulia Passalacqua, Roma, Castelvecchi 2014, pp. 7-9]