Aveva la saudade
Uno era un calciatore, si chiamava Eriberto ed era arrivato al Bologna direttamente dal Brasile, dove aveva fatto bella figura nella Under 21. I piedi erano un po’ quadrati, ma correva come un forsennato ed una volta, al Venezia, aveva segnato un gol recuperando un pallone nella propria area di rigore, per poi superare in velocità tutti i veneziani, entrare in area avversaria e metterla in rete. Ottanta metri piani in otto secondi netti. Tutti dicevano, il ragazzo ha ventun anni, i piedi miglioreranno.
Però come tutti i brasiliani aveva la saudade. Una notte per alleviarla andava in una discoteca sui colli e alle cinque del mattino infilava i viali in contromano. Il 113 lo fermava e lui diceva, che cazzo volete, non vedete che ho la saudade. I dirigenti non apprezzavano e pensavano che era meglio darlo via, c’era qualcosa che non tornava, ma non capivano che cosa.
Lo vendevano alla Lazio che poi lo rivendeva al Chievo. La Lazio non aveva ancora finito di pagare il Bologna ed il Chievo doveva ancora pagare la Lazio quando Eriberto faceva outing. Non mi chiamo Eriberto, ma Luciano. Non ho 23 anni ma 29. Però è vero che sono brasiliano e che ho la saudade. Ho detto queste palle perché me lo aveva consigliato il mio procuratore che però mi ricattava e voleva sempre più soldi ad ogni cambio di squadra.
Luciano si faceva poi un anno di squalifica, giocava altri sette anni nel Chievo, correndo come un forsennato. I piedi rimanevano però sempre quadrati.
[Seconda ristampa per il Repertorio dei matti della città di Bologna]