Noi

lunedì 22 Gennaio 2024

Uno incanta i cagliaritani con le sue lunghe, solitarie passeggiate per via Dante, via Paoli, giù sino in Marina. Schiena dritta e testa alta, passo elegante. Quelli, devoti e in soggezione, al più gli rivolgono un sorriso.
È uno che è sempre andato forte, travolgeva gli avversari e boom, una sassata mancina che poi il portiere glielo dovevano spiegare, cos’era successo.
Verso la fine degli anni ’60 la Juve offre al Cagliari un miliardo di lire più Capello, Bettega e uno a scelta tra Marchetti, Gentile e Cuccureddu. E a lui? Tre volte tanto l’ingaggio percepito in Sardegna.
“Dopo ogni partita spuntava Allodi che mi diceva ‘Dai, telefoniamo a Boniperti’. Ma intanto negli stadi d’Italia ci chiamavano banditi e pastori, e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame. I pastori, insieme ai pescatori, sono quelli che mi hanno fatto amare la Sardegna. Soprattutto Martino, che mi voleva bene come un figlio e mi insegnò a mangiare il pesce con le mani, lasciando soltanto le lische”.
Venne in Sardegna ragazzino, non aveva neanche la patente. Per tornare a casa dall’Amsicora, dopo gli allenamenti, si aggrappava dietro al tram per non pagare il biglietto. Poi fece una doppietta a Verona, l’istruttore della scuola guida mantenne la promessa e patente fu. E lui è uno che è sempre andato forte, anche su quelle curve che amava disegnare con la sua Alfa millesei, sulla litoranea per Villasimus. “Una volta mi chiese di accompagnarlo”, racconta Boninsegna, “tornati a Cagliari mi sono fatto un’assicurazione sulla vita”. Poi arrivò la Nazionale, 42 partite, 35 gol, due gambe rotte. L’unico altro suo amore, oltre a quello vero. “La Sardegna mi ha dato una casa, un affetto immenso, una famiglia. Il denaro certo, anche quello. Ma l’umanità della gente, l’amore, non avevano prezzo. Avevo 23 anni, la grande Juve voleva coprirmi di soldi, io volevo lo scudetto per la mia terra e alla fine ce l’abbiamo fatta. Noi: banditi e pastori”.

[Dal Repertorio dei matti della città di Cagliari]

Cagliari

mercoledì 17 Aprile 2019

Uno era quello che pisciava nella lettiera del gatto per dimostrargli che era lui il capobranco.

[Ristampato il Repertorio dei matti della città di Cagliari]

Le pappardelle

lunedì 26 Settembre 2016

Repertorio dei matti della città di Cagliari

[Ieri, a Livorno, ho letto in pubblico questo matto di Cagliari che non avevo mai avuto il coraggio di leggerlo, prima di ieri]

C’era uno che un giorno stava cagando, quando aveva cominciato ad uscirgli della roba bianca dal culo. “Sembravano le pappardelle Barilla”, raccontava. Allora aveva pensato fossero le sue budella, l’intestino magari, ma non si era preoccupato più di tanto. Stava sempre lì sul cesso quando gli era venuto in mente che però senza intestino non si può mica vivere, e che dunque era bene non perdere le frattaglie. Con calma e coraggio, utilizzando il pollice della mano destra, aveva allora rinfilato tutta quella roba bianca, che era in realtà una tenia, da dove era venuta.

I matti di Cagliari e di Parma

mercoledì 21 Settembre 2016

Repertorio dei matti della città di Cagliari

Repertorio dei matti della città di Parma

Clic

[Che poi sono questi:

Il repertorio dei matti di Cagliari lo abbiamo fatto grazie all’aiuto di Sardinia Post, e il direttore di Sardinia Post, Giomaria Bellu, quando ha letto il libro, ha detto che ci ha trovato dentro il tipico umorismo cagliaritano, che è una cosa che a me è piaciuta anche perché il tipico umorismo cagliaritano io non sono capace di distinguerlo dal tipico umorismo di Sassari, o di Nuoro di Olbia, ma credo che abbia ragione Bellu, e,comunque, giudicate voi:

Uno era il marito della figlia della sorella della moglie del cugino di Virgilio Savona, quello del quartetto Cetra. Lo diceva a tutti.

Uno era il presidente della Regione.
Appena eletto, parlando delle quattro province della Sardegna, aveva detto ‘Le nostre undici amministrazioni provinciali’. Aveva copiato così com’era il discorso di insediamento del Presidente della Regione Lombardia.

Uno partecipava a tutti i funerali. In cimitero, si avvicinava alla vedova (o al vedovo), la abbracciava e le diceva “Non ci sono parole, non ci sono parole, non ci sono parole”. Poi si avvicinava al figlio (o alla figlia) del morto, lo abbracciava e gli diceva “Non ci sono parole, non ci sono parole, non ci sono parole”. Poi si avvicinava alla sorella (o al fratello) del morto, la abbracciava e le diceva “Non ci sono parole, non ci sono parole, non ci sono parole”.

Uno era un uomo che per tutta la vita aveva fatto l’autista dell’arst, quando mangiava era solito guardare il Tg Regione e tutti i giorni c’era un momento in cui lui fermava il chiacchiericcio dei familiari a tavola e, poggiando con decisione le mani sul tavolo “Schh!! silenzio”, poi si alzava per sentire meglio. Tutti stavano zitti e lui diceva “questa la conosco, l’ho accompagnata a scuola per cinque anni” oppure “questa lavora all’ospedale di Nuoro, prendeva il pullman delle cinque e un quarto, sempre in ritardo” o ancora “il figlio di questa rubava il rame dai cantieri, me l’ha raccontato una volta in confidenza, ma non ditene a nessuno”. Tutti i giorni mentre guardava il Tg3 riconosceva qualcuno. Tutti i giorni. A volte anche più di uno. Era convinto di aver accompagnato mezza Sardegna.

C’erano due, marito e moglie.
Non avevano figli e non avevano amici. Passavano la settimana a lavorare, ma la domenica mattina indossavano il vestito bello, mettevano musica degli anni Quaranta sul giradischi e ballavano insieme nel salotto di casa.

Uno girava per Is Mirrionis e i gruppi di ragazzini lo temevano. Si dicevano tra loro “se lo chiami Pizzaiola si incazza” e “marrano (ti sfido) a chiamarlo Pizzaiola”. E allora di tanto in tanto decidevano di sfidare il destino e, armandosi di coraggio, quando lo vedevano in lontananza gli gridavano “o Pizzaiolaaa”. E gridare e cominciare a correre era tutt’uno, perché Pizzaiola tirava fuori il coltello e si dava all’inseguimento dei ragazzini biascicando parole di vendetta.

Uno era emigrato per qualche mese in Germania negli anni sessanta. Di quell’esperienza raccontava solo che era stato a Berlino e aveva saltato il muro, passando alla parte orientale, perché lui voleva vivere in un regime socialista, diceva. Era stato arrestato e dopo pochi giorni espulso, raccontava. “Avevano ragione loro”, diceva, “Come facevano a sapere che non ero una spia?”.

Uno era diventato famoso per la quantità di cibo che era in grado di mangiare, si chiamava Gnassinu e se ne andava in giro in compagnia dei suoi due fratelli. Gnassinu e i suoi fratelli da bambini avevano conosciuto la miseria, così una volta diventati grandi e avendo lavorato sodo tutta la vita, spendevano quel che guadagnavano in cibo. Una volta li videro alla festa di santa Rega a Decimo mangiarsi 100 muggini in 3. Ma Gnassinu nel bel mezzo del record si mise a piangere, mangiava e piangeva, e quando gli chiesero perché piangesse rispose semplicemente così: “non m’acudint is barras” (“le guance non sono abbastanza capienti e veloci per far spazio a quel che mangerei ancora”).

Uno era quello che pisciava nella lettiera del gatto per dimostrargli che era lui il capobranco. Continua a leggere »

2 settembre – Seneghe

venerdì 2 Settembre 2016

Venerdì 2 settembre,
a Seneghe,
alle 10,
Repertorio dei matti della città di Cagliari

A Calasetta

martedì 30 Agosto 2016

Repertorio dei matti della città di Cagliari

Uno passava le mattine passeggiando nel parcheggio della stazione. Quando si annoiava si avvicinava a una macchina in uscita e chiedeva al conducente: “Mi porti a Oristano?”, e quello rispondeva, per esempio “Ma sto andando a Calasetta”. “Allora portami a Calasetta”, diceva lui, per esempio.

[Ristampato il Repertorio dei matti della città di Cagliari]

18 giugno – Cagliari

sabato 18 Giugno 2016

Sabato 18 giugno,
a Cagliari,
alle 20,
al Babeuf,
in via Giardini, 147/a
il Repertorio dei matti
della città di Cagliari
di Antonio Boggio
Alberto Bocchetta,
Chiara Saiu,
Bachisio Bachis,
Roberta Mele,
Vanessa Aroff Podda,
Mauro Tetti,
Gianni Zanata,
Giorgia Pittau,
Francesca Mulas,
Carola Farci,
Daniele Ortu,
Nicola Muscas

Lo straniero, l’isolano, il mendicante

lunedì 23 Maggio 2016

Repertorio dei matti della città di Cagliari

Uno aveva lavorato all’Enel, e quando lavorava all’Enel era delegato sindacale, e dicevano, ne dicevano tante, dicevano che in una riunione con l’azienda, lui era lì come delegato della CGIL, in una riunione che durava troppo, lui aveva detto che i problemi dell’Enel si risolvevano se l’Italia usciva dal patto atlantico; aveva proposto l’uscita dell’Italia dal patto atlantico, ma la proposta non era stata messa a verbale, e dicevano che l’aveva fatta ma non si sapeva. Si sapeva invece che dall’Enel se ne era poi andato, se ne era andato in continente, e partendo, dalla nave che lasciava Cagliari, si diceva, forse lui stesso diceva di aver detto a sé stesso “Fuggi. Dopo trentaquattro anni ti strappi alla terra dove hai amato, sofferto e fatto il buffone. Ogni angolo di strada testimonia una tua gioia, un dolore, una paura. In cambio sarò libero. La maschera che mi cuciranno addosso, lo straniero, l’isolano, il mendicante, mi nasconderà, occulterà il nome, sarò uomo fra uomini”.
Se ne era andato in continente a tradurre libri, a scrivere libri, ché quando lavorava all’Enel scriveva già nei giornali. Nei libri scriveva di antiche leggende sarde, di giudici banditi, di minatori e cani e addii. Era diventato un traduttore e uno scrittore, uno scrittore sardo dicevano in continente, e una volta era venuto in Sardegna ed era morto. Ma era morto in mare, mica scrivendo. Era morto in mare ma in un vecchio sogno “arrivava in riva, guardava il mare, si chiedeva: “Lo attraverso?” e rispondeva: “No. È troppo largo.”

Il cantante dei Ratapignata

domenica 22 Maggio 2016

Repertorio dei matti della città di Cagliari

Uno era il cantante dei Ratapignata, cantava il rockstaedy in sardo campidanese. Diceva che grazie a un’intesa col Comune avrebbe sradicato da Cagliari tutte le palme per piantare ettari di mele cotogne.

Dimostrazioni

giovedì 19 Maggio 2016

Repertorio dei matti della città di Cagliari

Uno era quello che pisciava nella lettiera del gatto per dimostrare al felino che era lui il capobranco.