Me ne vado da Parma
Negli anni ’80, poi negli anni ’90, poi negli anni 0 son venuto via. Come oggi i ragazzi vanno all’estero, vanno via. Anch’io son venuto via, ero stanco. Stanco di questa Parma degli anni ’80, e poi degli anni ’90, e poi degli anni zero. E io allora a vent’anni, e poi a trent’anni, e poi a quarant’anni, mi son trovato di fronte a questa situazione. E me ne sono andato da quella Parma addormentata. Da quella Parma ricca, di sinistra, buona. Quella Parma con il cuore in mano. Quella dei bottegai, delle latterie. Delle tabaccherie, dei fruttivendoli. Quella Parma degli anonili, dei tortelli d’erbetta, delle spongate, delle bombe di riso, delle peperonate, della vecchia. Me ne andavo da quella Parma della carne di cavallo, dei carrelli dei bolliti, delle Sorelle Picchi, dei Corrieri. Da quella Parma dei portinai, dei geometri, dei ragionieri, degli appuntamenti, dei difensori civici. Quella Parma delle cooperative, degli stabilimenti dei pomodori, dei prosciuttifici, dei bancari. Quella Parma dell’istituto tecnico Macedonio Melloni di Parma, dell’Istituto Per Geometri Camillo Rondani, del liceo Romagnosi, dell’Ulivi, del Maria Luigia. Quella Parma dove se volevi lavorare non era mica un problema, dove non ci voleva neanche la raccomandazione. Me ne andavo da quella Parma dei cortili, dei piazzali, delle biciclette, dei du brasé (“due abbracciati”, è una statua in via della Repubblica). Quella Parma di via Cavour, di Piazza Duomo, del Battistero, di San Giovanni, della Steccata. Quella Parma della camera di San Paolo, quella Parma di Bodoni. Me ne andavo da quella Parma della cittadella, della centrale del latte, del Tennis club La Raquette. La Parma di via Duca Alessandro, di via della Repubblica, di Borgo Delle Colonne, di Borgo Santo Spirito, del Picasso. Da quella di giorno e da quella di notte, quella del cinema Astra. La Parma dell’Astrolabio, dei tavolini in Piazza Garibaldi. La Parma dell’Avis, dei donatori del Sangue, la Parma di Mario Tommasini, la Parma del Sordo di Borgo Sorgo, la parma dell’oltretorrente, la parma antifascista, di Picelli, la Parma di «Balbo, tè pasé l’Atlantic mo miga la Pärma» (Balbo, hai passato l’Atlantico ma mica la Parma). Me ne andavo da quella Parma che ci invidiano tutti, la Parma voladora (il torrente Parma in piena), La «Parma t’si bela e tut al mond alt guarda con passion» (Parma sei bella e tutto il mondo ti guarda con passione, è una canzone), del Teatro Farnese, del Parco Ducale, di via della Salute, del Correggio, del Parmigianino, dalla Parma di Giuseppe Verdi, di Arturo Toscanini, dalla Parma di Attilio Bertolucci, di Giuseppe Bertolucci, di Bernardo Bertolucci, dalla Parma di Cesare Zavattini che non era di Parma ma diceva «Molti credono che io sia di Parma e delle volte anch’io, credo di essere di Parma», da quella di Proust che non c’era mai stato ma diceva che Parma era color Malva, da quella di Stendhal che non diceva niente ma anche lui, a Parma, noi pensavamo che fosse un po’ di Parma, Stendhal, se no perché ha scritto la Certosa di Parma? La scriveva di Piacenza, se non era di Parma, o di Lodi. Quella Parma sempre con la nebbia, estate e inverno. Quella Parma che è meglio di Milano, molto meglio di Roma, meglio di Firenze, meglio di Venezia, meglio di Parigi, che confusione, a Parigi, ecco quella Parma che è una piccola Parigi, ma più bella. Me ne andavo dalla Parma di Ancelotti, di Arrigo Sacchi, di Tino Asprilla, di Alessandro Melli, me ne andavo dalla Parma di Nevio Scala, dalla Parma della coppa delle coppe, dalla Parma di Wembley, dalla Parma delle coppe Uefa, dalla Parma della Supercoppa Europea, me ne andavo dalla Parma di Ghirardi, di Manenti, che vergogna, Ghirardi e Manenti. Me ne andavo dalla Parma dei Barilla, dalla Parma di Non sei mica il figlio di Barilla, dalla Parma della Parmalat, me ne andavo dalla Parma di Tanzi, dell’unione parmense degli industriali, dalla Parma dell’ente Fiera di Parma, dell’università degli studi di Parma, della Gazzetta di Parma, di Radio Parma, di TV Parma, dell’acqua di Parma, del formaggio di Parma, il Parmigiano, del Prosciutto di Parma, del salame di Parma. Che do bali (Che due balle).
[Scritta su commissione di Davide Toffolo sul modello di Me ne vado da Roma di Remo Remotti]