1 giugno – Carpi
Sabato 1 giugno
a Carpi,
alla festa del racconto,
alle 9,
parlo dei
Racconti di Pietroburgo
con Petunia Ollister
Sabato 1 giugno
a Carpi,
alla festa del racconto,
alle 9,
parlo dei
Racconti di Pietroburgo
con Petunia Ollister
Sabato 2 febbraio,
a Milano,
alle 16,
in Via Piranesi, 10,
dentro il festival Writers,
ai Frigoriferi Milanesi,
leggo Memorie di un pazzo,
di Gogol’,
da Racconti di Pietroburgo
I proprietari terrieri di Kursk scrivon proprio bene.
[Nikolaj Gogol’, Racconti di Pietroburgo, Milano, Marcos y Marcos 2018, pp. 256-257]
La porta era aperta perché la padrona di casa, preparando non so bene che pesce, aveva fatto così tanto fumo, in cucina, che non si vedevan neanche più gli scarafaggi.
[Nikolaj Gogol’, Racconti di Pietroburgo, è uscito ieri, 29 novembre]
La giornata odierna è una giornata di enorme trionfo! In Spagna c’è un re. È stato trovato. Questo re sono io. L’ho saputo io stesso solo oggi. Confesso che è stato come se un fulmine mi illuminasse d’un tratto. Non capisco come è stato possibile che io pensassi e mi immaginassi di essere un consigliere titolare. Come è potuto entrare nella mia testa un pensiero così strampalato? È una fortuna che nessuno abbia pensato di mettermi in manicomio. Adesso, di fronte a me, è tutto chiaro. Adesso vedo tutto come nel palmo della mano. Ma prima, non capisco, prima, di fronte a me, tutto era come avvolto da una qualche nebbia. E tutto questo succede, credo, perché la gente si immagina che il cervello si trovi nella testa; no ve’: lo porta il vento dalle parti del Mar Caspio. Prima di tutto ho annunciato a Mavra chi sono. Quando ha sentito che di fronte a lei c’era il re di Spagna, ha lanciato in aria le braccia, ha battuto le mani e per poco non è morta di paura. Lei, stupida, non aveva ancora mai visto un re di Spagna. Io, però, mi sono sforzato di tranquillizzarla e con parole benevole mi sono sforzato di convincerla del mio favore e del fatto che non ero per niente arrabbiato per via del fatto che lei, delle volte, mi pulisce male gli stivali.
[Nikolaj Gogol’, Racconti di Pietroburgo, esce domani, 29 novembre]
Sto rileggendo Il naso, di Gogol, e nel primo capitolo ho letto: «Ivàn Jàkovlevič, come ogni artigiano russo che si rispetti, era un grande ubriacone», che è una bellissima frase, secondo me.
E quando si incontra il Personaggio importante, nel Cappotto, Gogol’ lo introduce così:
«Quale fosse e in cosa consistesse la carica del personaggio importante, ancora oggi non si sa. Bisogna sapere che quel personaggio importante era diventato da poco un personaggio importante e, fino a poco prima, era stato un personaggio che non era importante».
E quando, poco prima, Akàkij Akàkevič entra nella cucina del sarto, leggiamo questo:
«La porta era aperta perché la padrona di casa, preparando non so bene che pesce, aveva fatto così tanto fumo, in cucina, che non si vedevan neanche più gli scarafaggi».
E per la moglie del barbiere del Naso, Gogol’ trova tre parole, «una signora abbastanza rispettabile», che ce la squadernano sotto gli occhi in un modo che prefigura il dialogo straordinario delle Anime morte tra la «Signora piacevole sotto tutti i punti di vista» e la signora «Semplicemente piacevole».
Nelle storie della letteratura russa, a un certo punto si arriva al realismo, e il primo autore realista in cui ci si imbatte, di solito, è Nikolaj Gogol’.
Che è una cosa abbastanza stupefacente, se si considera che, in questo libretto, a un certo punto, alla polizia viene impartita «la disposizione di catturare il morto a tutti i costi, vivo o morto, e di punirlo, che servisse d’esempio, nel modo più crudele possibile».
O che, qualche pagina prima: «Il naso aveva guardato il maggiore, e le sue sopracciglia si erano un po’ aggrottate». Le sopracciglia del naso, come tratto realistico, sono molto realistiche, effettivamente. Per non parlare di quel «colore del viso che si chiama emorroidale», la cui colpa è «del clima pietroburghese». O della luna che «la fanno ad Amburgo, e la fanno malissimo». O del fatto che «tutto questo succede, credo, perché la gente si immagina che il cervello si trovi nella testa; no ve’: lo porta il vento dalle parti del mar Caspio».
[Nikolaj Gogol’, Racconti di Pietroburgo, Marcos y Marcos, esce il 29 novembre, se non mi sbaglio]
Tutte le volte che rileggo il Cappotto di Gogol’, questa settimana tre volte che stiamo lavorando sulle bozze, quando arrivo al punto, alla fine, dove alla polizia impartiscono la disposizione di catturare il morto vivo o morto, non so cosa farci, scoppio a ridere, tutte le volte.
Io, però, sono straordinariamente amareggiato da un evento che deve succedere domani. Domani alle sette si compirà uno strano fenomeno: la terra si poserà sulla luna. Ne scrive il celebre chimico inglese Wellington. Confesso di aver provato un’agitazione di cuore, quando mi sono immaginato la straordinaria fragilità e la scarsa resistenza della luna. La luna, di solito, la fanno ad Amburgo, infatti; e la fanno malissimo. Mi meraviglio che l’Inghilterra non faccia caso a questa cosa. La fa un bottaio zoppo, e si vede che è un asino, e non ha nessuna idea di cosa sia la luna. Ci ha messo una fune incatramata e una parte di olio vegetale. E così per tutta la terra c’è una puzza orribile, tanto orribile che bisogna tapparsi il naso. E è per quello che la luna è un globo così molle che la gente non ci può abitare, per niente, e lì adesso ci abitano solo i nasi. E è proprio per quello che non riusciamo a vederci i nostri nasi, perché i nasi son sulla luna. E quando mi sono figurato la terra come sostanza pesante che perciò, posandosi, avrebbe potuto ridurre in polvere i nostri nasi, mi ha preso un’inquietudine tale che, messe le calze e le scarpe, mi sono affrettato nella sala del consiglio di stato per ordinare alla polizia di non permettere alla terra di posarsi sulla luna. I cappuccini rasati che ho trovato in gran quantità nella sala del consiglio di stato, erano della gente molto intelligente, e quando ho detto: “Signori, salviamo la luna, perché la terra ci si vuol posare sopra” si sono precipitati tutti a esaudire il mio desiderio di monarca, e molti si sono arrampicati su per il muro per afferrare la luna; ma in quel momento è sbucato fuori il gran cancelliere. Vedendolo, si son tutti dispersi. Io, come re, son rimasto solo. Ma il cancelliere, con mio grande stupore, mi ha picchiato col bastone e mi ha cacciato nella mia stanza.
[Nikolaj Gogol’, dai Racconti di Pietroburgo, esce a fine novembre per Marcos y Marcos]
Delle volte gli veniva la rabbia quando vedeva che un pittore straniero, un francese, o un tedesco, delle volte neppure un pittore per vocazione, con il solo mestiere che si era fatto abitudine, con la vivacità del suo pennello e la luminosità dei suoi colori faceva scalpore, e si metteva da parte, in un attimo, un capitale. Questo non gli veniva in mente quando, preso tutto il giorno dal proprio lavoro, dimenticava di bere, e di mangiare, e il mondo intero, ma quando, alla fine, si faceva sentire il bisogno, quando non c’erano soldi per comprare i pennelli, e i colori, quando il padrone di casa, ossessionante, veniva dieci volte al giorno a chiedere i soldi dell’affitto. Allora nella sua immaginazione la sorte del pittore ricco diventava invidiabile; allora balenava anche un pensiero che balena spesso nella testa dei russi: piantare lì tutto e mettersi bere a più non posso, per ripicca, così imparavano. E adesso era quasi in una condizione del genere.
[Nikolaj Gogol’, Il ritratto, dai Racconti di Pietroburgo]