18 febbraio – Milano
Martedì 18 febbraio,
a Milano,
alle 19,
alle libreria Verso,
in corso di Porta Ticinese, 40
presentazione di
Qualcosa n. 7
(organo ufficioso dei sapodisti)
Martedì 18 febbraio,
a Milano,
alle 19,
alle libreria Verso,
in corso di Porta Ticinese, 40
presentazione di
Qualcosa n. 7
(organo ufficioso dei sapodisti)
Giovedì 9 gennaio,
a Bologna
alla libreria Ambasciatori,
in via deli Orefici, 19,
alle 18,
un certo numero di sapodisti
partecipa alla prima presentazione
del 2020
del numero 7 di Qualcosa
Un’ultima cosina sul significato delle parole. Non è un granché, ma mi è venuto in mente che a alle elementari io credevo che la parolina “nb” in fondo alle lettere volesse dire “non badare”. Lo confermava il fatto che di solito era scritta in piccolo a fine pagina.
[Elvira Antinozzi per Qualcosa n. 7, lo presentiamo a Bologna il 9 gennaio]
La mamma era stata, oltre che mia madre, la cugina più vicina della mia parentela. Essa era stata la mia sola vera Fidanzata. Avrei dovuto e voluto essere il Suo custode. Se ho sempre mancato al mio dovere, niente di male per Lei. Il Suo custode fu sempre presente in Lei stessa. C’era del resto Chi L’aspettava. Il papà, morto il 28 giugno 1909, la stava aspettando da 53 anni. Sorridente, dolce, scanzonato, aspettava la Mamma. Intatto nel viso, nel corpo, nella barba, nei capelli (così come risultò all’apertura della cassa, nel cimitero di Modena, la mattina del 10 febbraio 1962, davanti a me e al mio giovane e carissimo cugino Paolo Tardini e al direttore del cimitero) egli si lasciò vedere da me per la prima volta nella mia vita. Non avevo mai avuto un ricordo visivo di lui. Lui, mio padre, aveva 33 anni; e io, suo figlio, cinquantaquattro. Unico al mondo, io credo, ho visto per la prima volta il papà: lui, in età di un mio figlio; io, in età di suo padre!
Antonio Delfini
[Epigrafe di Qualcosa n. 7]
Quando ero piccolo pensavo che il “piantagrane” fosse un attrezzo. Una specie di piccola trivella cicciotta e filettata, lunga una ventina di centimetri con una impugnatura verde di forma ovale (non so perché ma io l’impugnatura me la immaginavo verde). La trivella aveva grossomodo la forma e le proporzioni di un cono gelato capovolto, leggermente più grande di un cono gelato però molto più robusta, in metallo, con delle alette filettate e taglienti, con dei puntini tipo quelli che ci sono sulla grattugia del formaggio e con questa impugnatura ovale che riempiva il palmo di una mano come certe maniglie di ottone che ci sono in certe case del centro. Nel mio condominio maniglie ovali, non ne avevamo.
Non riuscivo a immaginare tecnicamente il funzionamento esatto della “piantagrane” ma immaginavo che fosse necessario appoggiarla per terra, fare pressione sull’impugnatura caricandoci bene sopra tutto il peso del corpo e poi lasciarla lavorare. Poi faceva tutto da sola. Se qualcuno mi avesse chiesto se ne avevo mai vista una di trivella piantagrane avrei quasi certamente risposto di sì, che l’avevo vista, tanto ero convinto. Ero sicuro di averne vista una tra gli attrezzi da lavoro di mio nonno. Pianta da pianta, grane da grane. Era chiaro che il piantagrane era una cosa che serviva per piantare qualcos’altro, probabilmente le grane come diceva la parola. Che quelle, sinceramente, non avevo capito bene che cosa fossero.
[Emilio Previtali, da Qualcosa n. 7, esce oggi in libreria]
Quando ero piccola pensavo che la frontiera fosse il cerchietto per tenere fermi i capelli. E pensavo che a Giochi senza frontiere si potesse partecipare solo con i capelli sciolti.
[Esce il 20 novembre, se non mi sbaglio]
Le circostanze, per esempio, dovrebbero essere delle stanze rotonde. «Vai nella tua circostanza!», da dire a un figlio quando si comporta male.
[Da Qualcosa n. 7, in preparazione]
Sabato 8 giugno,
a Bologna,
in Salaborsa,
in piazza del Nettuno,
dalle 15 alle 18,
nella sala incontri del primo piano,
c’è la riunione di Qualcosa,
per lavorare al numero 7
(è aperta a tutti)
Nel numero 7 di Qualcosa, che dovrebbe uscire tra quest’autunno, si parlerà dei nostri genitori, e ci saranno, forse, queste tre epigrafi:
I genitori sono negativi non sviluppati. Tra tutti coloro che incontriamo nella vita sono quelli che conosciamo peggio, proprio perché non li incontriamo; l’iniziativa fin dall’origine è già stata presa dagli «avi»: sono loro che vengono incontro a noi. Il cordone ombelicale non è stato tagliato, loro sono parte di noi esattamente nella stessa misura in cui ci è impossibile capirli. Il collasso della conoscenza è assicurato. Il resto sono congetture. Abbiamo paura di vedere il loro corpo e di guardarli nell’anima. Loro per noi non si trasformano mai in persone, rimangono per sempre un susseguirsi di impressioni che non hanno un’origine, dei mutevoli spauracchi-miraggi.
Viktor Erofeev
Mi ricordo l’unica volta che ho visto mia mamma piangere. Stavo mangiando una crostata di albicocche.
Joe Brainard
La mamma era stata, oltre che mia madre, la cugina più vicina della mia parentela. Essa era stata la mia sola vera Fidanzata. Avrei dovuto e voluto essere il Suo custode. Se ho sempre mancato al mio dovere, niente di male per Lei. Il Suo custode fu sempre presente in Lei stessa. C’era del resto Chi L’aspettava. Il papà, morto il 28 giugno 1909, la stava aspettando da 53 anni. Sorridente, dolce, scanzonato, aspettava la Mamma. Intatto nel viso, nel corpo, nella barba, nei capelli (così come risultò all’apertura della cassa, nel cimitero di Modena, la mattina del 10 febbraio 1962, davanti a me e al mio giovane e carissimo cugino Paolo Tardini e al direttore del cimitero) egli si lasciò vedere da me per la prima volta nella mia vita. Non avevo mai avuto un ricordo visivo di lui. Lui, mio padre, aveva 33 anni; e io, suo figlio, cinquantaquattro. Unico al mondo, io credo, ho visto per la prima volta il papà: lui, in età di un mio figlio; io, in età di suo padre!
Antonio Delfini
Mi ricordo le cabine telefoniche
mi ricordo i gettoni telefonici
mi ricordo le schede telefoniche
mi ricordo quando i cani erano solamente dei cani
mi ricordo quando la raccolta della merda dei cani non era così ben organizzata
mi ricordo quando Paolo Bonolis faceva Bim Bum Bam
mi ricordo quando il Raiders è diventato il Twix
mi ricordo Drive in
mi ricordo AS Fidanken
mi ricordo i Visitors
mi ricordo Mc Giver
mi ricordo l’ A-Tem
mi ricordo Laura Palmer
mi ricordo tutto quello che mediaset ha passato tra ’84 e il ’92
mi ricordo mia nonna ripetermi “sei il più bravo e il più bello”
mi ricordo mia nonna ripetere agli altri miei cugini che io ero il più bravo e il più bello
mi ricordo le frittelle di minestra di fagioli
mi ricordo le frittelle di minestra in brodo
mi ricordo le frittelle di farina di castagne
mi ricordo le videocassette
mi ricordo quando ho trovato le videocassette porno di mio padre
mi ricordo che mai e poi mai avrei pensato che mio padre fosse una persona in grado di saper usare un videoregistratore
mi ricordo che non si fece mai beccare
mi ricordo che io ci provavo gli dicevo “dai metti su un film” ma lui rispondeva “non so mica usare quella roba lì”
mi ricordo che anche quando mia sorella voleva vedere tre volte al giorno La Sirenetta lui non l’ho mai visto spinger Play
mi ricordo che non mi davo pace
mi ricordo che pian piano un dubbio si faceva strada
mi ricordo che arrivai alla sconvolgente conclusione che le videocassette porno potessero essere di mia madre
[Michele Risi per Qualcosa n. 7 clic]