La conclusione

martedì 8 Febbraio 2022

La conclusione fu che venne istituito uno speciale ufficio per la sorveglianza di Puškin (ufficio che sarebbe stato abolito vari anni dopo la morte del poeta).

[Puškin è morto l’8 febbraio 1837, 185 anni fa, la citazione è da J. M. Lotman, Puškin, trad. di F. Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 130]

Avanti e indietro

martedì 30 Ottobre 2018

Puškin era andato tanto avanti rispetto ai suoi contemporanei, che a questi pareva che fosse rimasto indietro.

[Jurij Michajlovič Lotman, Puškin, traduzione di Francesca Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 158]

Per la sorveglianza di Puškin

sabato 27 Ottobre 2018

La conclusione fu che venne istituito uno speciale ufficio per la sorveglianza di Puškin (ufficio che sarebbe stato abolito vari anni dopo la morte del poeta).

[Jurij Michajlovič Lotman, Puškin, traduzione di Francesca Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 130]

Il suo deretano pare una mela

mercoledì 22 Agosto 2018

Puškin era un «artista in piena forza» e la curiosità continua, vuota, lo stancava, le «chiassose chiacchiere» lo incattivivano. La sua posizione nella società ricordava ciò che egli aveva descritto a Del’vig in una lettera da Malinniki: «I vicini vengono a guardarmi come se fossi il cane [ammaestrato] Munito». Più avanti aveva raccontato la trovata di Poltorackij, il padre di Anna Kern, che aveva convinto i bambini a farsi invitare perché «là ci sarebbe stato Puškin, costui è tutto di zucchero e il suo deretano pare una mela, che verrà tagliata a spicchi e distribuita a tutti. I bambini sono corsi tutti a leccarmi, ma quando si sono accorti che non ero di zucchero ci sono rimasti male».

[Jurij Michajlovič Lotman, Puškin, traduzione di Francesca Fici Giusti, Padova, Liviana 1990, p. 143]

Puškin (secondo Šklovskij)

martedì 26 Aprile 2011

Noi trattiamo Puškin industrialmente.
Come un tecnico tratta un altro tecnico.
Se vivesse ancora (e sarebbe diverso da quel che era) metteremmo ai voti la possibilità di accettarlo nel «Novyj LEF».
Cercheremmo poi di dargli un certo numero di deleghe nella Federazione degli scrittori. Chi chiederemmo: «Quanti scrittori rappresenta il compagno Puškin?».
A questo punto l’immaginazione mi è venuta meno.
Del resto, che cos’è Puškin oggi?
Cito da L. Vojtolovskij, Storia della letteratura russa:

… è la letteratura della piccola nobiltà, che riproduce fin nei più minuti particolari la vita e i costumi del ceto nobile di quel tempo, Onegin, Lenskij, Hermann, il principe Eleckij, Tomskij, Grëmin…
In queste figure Puškin dà…

Informiamo lo studioso Vojotolovskij, non del tutto ignoto, che i personaggi da lui enumerati sono parti di baritono e di tenore in opere liriche. Una prova lampante è la menzione del nome di Grëmin, marito di Tat’jana (?) («ogni età è soggetta all’amore»), che nell’opera di Puškin non esiste. Non è bello studiare la letteratura russa (sociologicamente) basandosi sulle opere liriche.

[Viktor Šklovskij, Puškin, in Il conteggio di Amburgo, cit., p. 35]

Immobile

giovedì 27 Maggio 2010

L’altro giorno, a Montemurlo, si è parlato di come sono diversi il russo e l’italiano, e del fatto che i primi versi dell’Onegin, Moj djadja samych čestnych pravil, / kogda ne v šutku zanemog, / on uvažat’ sebja zastavil / i lučše vydumat’ ne mog (Di principi onestissimi, mio zio, / or che giace ammalato per davvero, / fa sì che lo rispetti anch’io; / e non poteva aver miglior pensiero [tr. E. Lo Gatto]) in Russia li capiscano anche i bambini, mentre, per dire, Ei fu, siccome immobile, / dato il mortal sospiro, / stette la spoglia immemore, / orba di tanto spiro se lo dici a un bambino chissà cosa capisce, adesso quando torno a Bologna voglio provare, ho detto l’altro giorno, ed era già la seconda o la terza volta che lo dicevo e non l’avevo mai fatto.
Allora ieri, quando sono arrivato da una bambina di cinque anni le ho detto Adesso ti dico una cosa e tu mi dici quello che capisci, Va bene, mi ha detto lei, e io le ho detto Ei fu, siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore, orba di tanto spiro, e poi le ho chiesto Cos’hai capito?
E lei ci ha pensato un po’ e poi mi ha detto: Che lui gioca con il memory in piedi immobile respirando.

Onegin

sabato 22 Novembre 2008

Chiedeva Claudia nei commenti al post Puškin se la traduzione di Lo Gatto dell’Onegin è meglio di quella di Giudici. Io ho risposto che a me piace molto di più. Poi ho pensato che quel che piace e quel che non piace a qualcuno è una cosa che, non so come dire, non è che valga molto.
Allora ho pensato di registrare in un file audio l’originale della prima strofa del primo capitolo, che, letta da me, quindi magari con qualche errore d’accento o di intonazione, è questa: onegin
E poi ho pensato che avrei messo qua sotto le versioni di Lo Gatto, di Giudici (grazie Claudia), e, intanto che c’ero, anche la versione in prosa di Bazzarelli:
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Puškin

venerdì 21 Novembre 2008


È appena uscita, per quodlibet compagnia extra, una ristampa della traduzione di Ettore Lo Gatto dell’Eugenio Oneghin di Puškin.
Metto qua sotto una specie di recensione, che è in realtà un montaggio di giudizi sul poema (che poi è un romanzo in versi) e su Puškin stesso, recensione montaggio che uscirà sul prossimo numero della rivista esamizdat (è un po’ lunga).

L’uscita dalla scuola

Il capitolo settimo dell’Eugenio Onegin è la completa caduta del talento di Puškin (Faddej Bulgarin)

L’Eugenio Onegin è un romanzo sul nulla (Abram Terc)

L’Eugenio Onegin è un’opera difficile (Jurij Lotman)

La grande impresa di Puškin sta nel fatto che egli, per primo, nel proprio romanzo, ha riprodotto la società russa di quel tempo, e, nei personaggi di Onegin e Lenskij, ne ha mostrato il lato principale, vale a dire quello maschile (Vissarion Belinskij)

Tat’jana è più profonda di Onegin, e, sicuramente, più intelligente di lui. Forse Puškin avrebbe fatto meglio, perfino, a chiamare il suo poema Tat’jana, e non Onegin, dal momento che è lei, senza alcun dubbio, la protagonista del poema (Fëdor Dostoevskij)

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Domande su Facebook

mercoledì 5 Novembre 2008


Credo che la domanda che più frequentemente ci si sente rivolgere su Facebook, all’inizio, quando qualcuno ti cerca per la prima volta, sia Ma sei proprio tu? Che è una domanda che uno non sa cosa rispondere, per molti motivi. Da un lato ti vien da pensare Ma come, non vedi, che sono io?
Dall’altro lì c’entra una cosa che ha a che fare con un mio amico che si chiama Giuseppe Faso che qualche mese fa ha pubblicato un libro che si intitola Lessico del razzismo democratico al quale libro mi ha chiesto di scrivere una prefazione che è questa qua:

L’anno scorso, prima di conoscere Giuseppe Faso, o subito dopo, adesso non mi ricordo, sono andato a Napoli a lavorare in teatro, a fare l’attore, una cosa stranissima, per me, recitare, non leggere, a me piace molto leggere. Avevo scritto un testo teatrale, l’avevo scritto io, dove c’era una parte, che era la mia, di uno che doveva solo leggere, era un conferenziere. Mi sembrava una soluzione, non so come dire, ideale, solo che poi ho scoperto che al regista non sembrava la soluzione ideale, e che per lui la soluzione ideale era che, nei limiti delle mie capacità, recitassi, oltre che leggere. E mi ha convinto, e mi ha messo su un ruolo dove facevo tre cose, semplici, ma le facevo, e non mi vergognavo neanche tanto, dopo le prime tre o quattro repliche.
E questo ha comportato delle conseguenze, soprattutto il fatto che ho imparato delle cose, come camminare, su un palcoscenico, che non è facile, provate, se credete che sia facile, e come riconoscere i miei gesti parassiti, se si chiaman così, cioè quei gesti che uno fa senza rendersene conto, quei gesti che abitano in lui senza che lui lo voglia. Io adesso ne ho due, perlomeno. Quando ero grasso, ne avevo anche un altro, che era tirarmi giù il maglione sulla pancia, continuamente. Ma non importa.
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