La filologia
«La filologia», diceva spesso [Aurelio Roncaglia] «è una frittata di uova di Colombo».
[Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, Milano, Ponte alle grazie 2012, p. 235]
«La filologia», diceva spesso [Aurelio Roncaglia] «è una frittata di uova di Colombo».
[Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, Milano, Ponte alle grazie 2012, p. 235]
Thomas Bernhard si augurava che le sue vicine di casa lo usassero per spaventare i bambini: «Se non sei buono arriva il signor Benhard e ti porta via!!!». Oggi, al contrario, la massima aspirazione degli scrittori è essere amati da genitori e bambini, come Babbo Natale (le scrittrici, ovviamente, aspireranno ad assomigliare alla Befana – ma la vocazione del portatore di doni è identica).
[Emanuele Trevi, Qualcosa di scritto, Milano, Ponte alle grazie 2012, p. 18]
Ecco alcuni degli antichi nomi cancellati, anche di recente, dalla toponomastica di Napoli (e sono solo quelli relativi a una serie di nuovi nomi di vie comincianti con De, come de Sica ecc.).
Seconda Traversa Stella, ora via Vittorio de Sica,
Vicolo Ritiro Purità a Foria, ora via Antonio de Curtis (Totò),
Via delle Sirene, ora via Raffaele de Cesare,
Via Settimo Cielo, ora via Luigi de Crecchio,
Vicoletto Fico a Foria, ora vico Annibale de Gasperis,
Via del Divino Amore, ora via Giuseppe de Blasiis,
Vicoletto Mezzocannone, ora via Enrico de Marinis,
Vico Carminiello a Toledo, ora via Carlo de Cesare,
Piazza dei Tribunali, ora piazza Enrico de Nicola…
Parallelamente vengono a poco a poco cancellati quei bellissimi nomi con cui a Napoli – come a Londra, dove però sono conservati con più cura – sono designate le diverse specie di vie, come: Traversa Graziella, Gradini Cinesi, Supportico Carminiello al Mercato, Cupa Toscanella, Vico Storto Concordia, Vico Rotto Carbonara, Angiporto dei Caserti, Passaggio Castello dell’Ovo, Contrada Calori di Sopra, Rampe del Campo. E ancora: Strettoia, Larghetto, Borgo, Vico Lungo, Piazzetta, Fondaco, Banchina, Scaletta, Salita, Discesa. Salita del Casale, Discesa del Cavone…
Qualcuno si chiederà come è possibile stabilire se una via non pianeggiante è una salita o una discesa. Al primo momento la domanda, per le difficoltà che prospetta, ricorda quella che molti cristiani rivolsero a Sant’Agostino: «Che faceva Iddio prima di creare il cielo e la terra?» alla quale domanda il santo, dopo aver cercato di cavarsela con una barzelletta, non riuscì a dare una risposta soddisfacente. Ma i napoletani hanno risolto (a suo tempo) anche il problema delle salite e delle discese basandosi semplicemente sul loro istinto.
[Aldo Buzzi, Un debole per quasi tutto. La lattuga di Boston e altri scritti, Milano, Ponte alle Grazie 2006, pp. 122-123]
«Come sta?» dissi.
«Ho preparato una proposta da sottoporre al ministro della giustizia per punire una categoria di persone che mi dà fastidio in modo particolare.»
«Per esempio?»
«Per esempio quelli che, dopo aver nominato New York, se devono nominarla una seconda volta, dicono la Grande Mela. Per questi la pena dovrebbe essere l’ergastolo».
«Accidenti!» dissi.
«Sì, ma non solo per questi. Anche per quelli che, dopo aver nominato il dollaro, se devono nominarlo una seconda volta, dicono il biglietto verde; o, se devono nominare l’oro una seconda volta, dicono il metallo giallo. E stessa pena per quelli che dopo il pallone, invece di ripetere il pallone dicono la sfera di cuoio. Ergastolo senza le solite riduzioni di pena» aggiunse. «E per quelli che dicono il papa – una paroletta breve che fa risparmiare tempo e fatica – e poi si buttano su Giovanni Paolo Secondo?»
«Ergastolo» dissi.
«Bravo. E per quelli che, dopo aver nominato Gelli, aggiungono sempre l’ex maestro venerabile della loggia P2?»
«L’ergastolo come sopra» dissi.
«No, la fucilazione».
«Allora» dissi «andrebbero fucilati anche quelli che, a suo tempo, dopo aver nominato il generale Norriega, aggiungevano sempre l’uomo forte di Panama».
«Naturalmente» disse «e stessa pena per chi, a qualunque proposito da qualunque pulpito, usa la parola millennio».
«Di questo» dissi «forse sarà più difficile persuadere il ministro».
«Non importa. Io faccio la proposta. Se poi non la accettano, la vergogna ricadrà su di loro. Sto lavorando anche a un’altra proposta per punire tutti quelli che invece di ‘i gnocchi’ scrivono ‘gli gnocchi’. Non c’è nessuna difficoltà a pronunciare i gnocchi, come non ci sono difficoltà a pronunciare ignoto, ignorante, ignobile. Vedere, se dico ‘gli gnocchi’» dovrei anche dire ‘Alessandro Volta, l’inventore degli gnocchi di patate’».
«Ahi! Ahi! E chi introduce nei cervelli queste assurdità?».
«Sono certe maestre… le figlie di quelle che un tempo insegnavano a scrivere: ‘carne in iscatola’. Mi ricordo una carne in iscatola che era rimasta nelle prime pagine di Tempo di uccidere di Flaiano. Ho sostituito l’iscatola con una normale scatola e Flaiano mi ha ringraziato. La saluto. Parto. Vado in Isvizzera… Non si agiti. Sto scherzando. Buon lavoro».
[Aldo Buzzi, Un debole per quasi tutto. La lattuga di Boston e altri scritti, Milano, Ponte alle Grazie 2006, pp. 113-115]
Il salumiere di via T. si rivolgeva ai suoi clienti maschi di aspetto distinto (più o meno, ci fui anche io fra quelli) con queste due parole: «Caro amico». «Caro amico» diceva «lei certamente vuole il meglio per la sua tavola…»
Un giorno gli dissi che Emmental si scrive senza acca e lo invitai a correggere il cartellino che aveva infilzato sul suo formaggio, malgrado il nome fosse impresso correttamente sulla croste, come gli feci notare. Gli spiegai che in tedesco Tal significa valle e Emmental (e non Emmentha, con l’acca) la valle del torrente Emme, nel nord della Svizzera, dove appunto si fa questo formaggio apprezzato e imitato in tutto il mondo. Le mie parole non lo convinsero.
«Caro amico» disse «gli svizzeri scrivano pure come vogliono, ma qui in Italia questo nome si è sempre scritto con l’acca. Tutti i nostri gastronomi lo scrivono così e io non me la sento di essere un’eccezione».
[Aldo Buzzi, Un debole per quasi tutto. La lattuga di Boston e altri scritti, Milano, Ponte alle Grazie 2016, p. 13]
Durante la rivoluzione furono aboliti tutti i titoli e i francesi dovettero chiamarsi «cittadino» o «cittadina». A Parigi poteva andare, ma in campagna?
[Aldo Buzzi, Un debole per quasi tutto. La lattuga di Boston e altri scritti, Milano, Ponte alle Grazie 2016, p. 13]
Mio padre era un chimico. Andava da uno stabilimento industriale all’altro. Dopo qualche anno si cambiava città, scuola, lingua… Non all’estero, ma dalla Lombardia alla Toscana al Piemonte… Una maestra lombarda con lapis rosso, sui temi, certe espressioni toscane, giustissime. Inutile arrabbiarsi.
[Aldo Buzzi, Un debole per quasi tutto. La lattuga di Boston e altri scritti, Milano, Ponte alle Grazie 2016, p. 13]
Il critico letterario H. Bruce Franklin ha scritto un bel libro in cui analizza la letteratura popolare americana dal periodo coloniale fino ai giorni nostri, compresa l’era della televisione. Una delle interessanti conclusioni a cui giunge Franklin è che tutta la letteratura popolare è attraversata da un tema ricorrente, molto vicino all’aspetto che hai appena evidenziato tu e che è riassumibile così: «Siamo sull’orla di una catastrofe e c’è un nemico terrificante che sta per annientarci. Ma alla fine arriverà un’arma super-potente o un supereroe a salvarci».
Questo genere di narrazione, da qualche anno, passa attraverso la televisione. Qualcosa del tipo che i russi stanno per conquistare il paese, allora alcuni liceali si rifugiano tra i monti e da lì organizzano la resistenza e cacciano l’invasore. Chi è il nemico in queste rappresentazioni? Di solito è qualcuno che nella realtà siamo noi a soggiogare. Un tempo, ad esempio, i nemici erano gli indiani. Nella dichiarazione di indipendenza, Thomas Jefferson condanna re Giorgio III per aver sguinzagliato contro gli americani «gli spietati selvaggi indiani, i cui metodi guerreschi sono ben noti e consistono nel massacro indiscriminato delle persone di ogni età, sesso e condizione». Jefferson era lì, sapeva perfettamente che in realtà erano gli europei gli spietati selvaggi: eppure le sue affermazioni non erano del tutto false. Piuttosto, lo irritava che mentre gli americani se ne stavano lì in pace gli spietati selvaggi osavano ribellarsi a loro, che li cacciavano dalle loro terre e gliele confiscavano, ammazzandoli brutalmente. Quel nemico è sempre presente durante tutto il periodo della conquista del territorio.
Più tardi lo spauracchio divenne la rivolta contro lo schiavismo: gli schiavi si ribelleranno, uccideranno gli uomini, violenteranno le donne e prenderanno il potere, ma tanto all’ultimo momento verrà qualcuno a salvarci. Nei decenni successivi, i nemici furono i cinesi. I coolie, com’erano chiamati allora, venivano prelevati dall’Asia e portati negli Stati Uniti per costruire le ferrovie. Costoro avrebbero poi aperto lavanderie e altre attività. All’epoca, quindi, il tema ricorrente nella letteratura popolare era: i cinesi vogliono prendersi tutto, hanno piani subdoli, sono centinaia di milioni, vogliono insinuarsi nella società americana per poi dominarla.
In un romanzo di Jack London, che pure era uno scrittore progressista, si ipotizzava di uccidere tutti gli abitanti della Cina con armi biologiche per impedire che dominassero il pianeta.
[Noam Chomsky con Andre Vltchek, Terrorismo occidentale, traduzione di Valentina Nicoli, Milano, Ponte alle grazie 2015, pp. 76-77]