Adesso c’è anche il vento siberiano

domenica 4 Marzo 2018

Mi era sembrato strano il comportamento di Pierluigi Bersani, che ha fatto una campagna elettorale tutta in sordina, non l’ho mai sentito nominare, probabilmente ha fatto pochi comizi, ho pensato, è andato poco in televisione, poi sono andato a cercare, ho trovato che invece qualche intervista televisiva l’ha fatta; il 27 febbraio, per esempio, pochi giorni fa, era da Lilly Gruber in un programma che si chiama Otto e mezzo dove lui ha detto che tutti gli chiedono «Ma dove sei andato a finire?» e che lui risponde «Io son sempre stato qui, sono loro, che si sono spostati».
E ha detto che, per lui, l’esperienza di questa campagna elettorale è stata molto positiva, che «la gente è venuta, è uscita dal bosco», e che, secondo lui, la nascita di Liberi e uguali, che è il movimento con il quale si presenta alle elezioni, è stata presa molto bene, che lui trova solo «del popolo che è contento, perché non sapeva dove andare, e adesso dice “Siam qui, è tornata la sinistra”, adesso c’è anche il vento siberiano, non pretendevo tanto», ha concluso poi Bersani l’altro giorno.
Che io, a parte il fatto della gente che esce dal bosco, stavano in un bosco? ma parte quello, che non l’ho tanto capito, devo dire che non ho capito neanche tanto il fatto che lui, Bersani, sia uno che è sempre rimasto lì dov’era.
Io invece ho l’impressione che il principale partito della sinistra, nel quale Bersani ha fatto politica per tanti anni, quel partito lì che quando Bersani è stato eletto consigliere comunale a Bettola, in provincia di Piacenza, nel 1985, il partito di Bersani, allora, nel 1985, si chiamava Partito Comunista Italiano, e è cambiato ininterrottamente, dal 1985 ad oggi, quel partito lì, come testimonia anche il cambiamento dei nomi ultimo dei quali Partito Democratico.
Ecco, il Partito Democratico, l’ultima volta che si è presentato alle elezioni politiche, nel 2013, il suo leader era proprio Bersani, e quella campagna elettorale, io, non che l’avessi seguita tantissimo, ma me la ricordo soprattutto per un video: sul terrazzo di un edificio che si immagina romano, un gruppo di signore e signori di spalle, guidati da due vestiti come uno che non ne sa tanto si può immaginare che siano vestiti dei dee-jay (io non ne so tanto e me li immagino vestiti così, gli uomini in nero, con i capelli lunghi e la barba, e una collana al collo e una catena che esce da una tasca, le donne in nero con gli occhiali da sole e degli elementi di viola e degli stivali un po’ aggressivi, da dee-jay), queste signore e questi signori fanno un saltello su se stessi, si trovan di faccia, si battono i palmi delle mani sulle cosce e cominciano a ripetere, in coro: «Lo smacchiamo, lo smacchiamo, lo smacchiamo, lo smacchiamo, lo smacchiamo». Quello che avrebbero voluto smacchiare, elegante metafora per battere, umiliare, annichilire, era il loro avversario politico, il giaguaro, che oggi, cinque anni dopo, alle elezioni politiche successive, è ancora lì, con tutte le sue macchie, che son tante, secondo me.
Io, Bersani, anzi, più che sembrarmi uno che è sempre rimasto lì, lo collego proprio a questo continuo cambiamento, perché mi ricordo il suo comizio di chiusura della festa nazionale dell’unità del 2012, al Campo Volo, di Reggio Emilia, che all’orario in cui doveva cominciare, il comizio, non c’era nessuno, a sentire, allora è stato rimandato di qualche ora, e quando ha cominciato a ammucchiarsi un po’ di gente, dei ragazzi con dei giubbetti neri e la scritta, dietro la schiena, Staff, si sono messi a distribuire delle bandiere e dei cappellini che non erano rossi, come le bandiere e i cappellini della festa dell’unità e del PCI, avevano i colori del PD, bianco, rosso e verde (gli stessi colori del partito del Giaguaro), e quando poi Bersani era arrivato, la prima cosa che aveva detto, a quel comizio, non era stata «Buongiorno», o «Salve», o «Cari compagni», o «Amici cari», era stata: «Care democratiche, cari democratici».
Che io mi ricordo mi sono chiesto “Ma come si fa, dopo un inizio del genere, a dire qualcosa di sensato?”.
E ero andato via, ero andato al ristorante a mangiare, che intanto Bersani aveva finito, chissà cosa aveva detto, e dopo che io avevo mangiato quelli del ristorante si eran messi a cantare Bandiera rossa e l’ultima strofa non avevan cantato, come da testo di Bandiera rossa, «Evviva il comunismo e la libertà», avevano cantato «Evviva il PD, e la libertà».
Cioè si era spostato tutto, altro che restare al proprio posto, si era spostato tutto fin da allora, fin dal 2012, quando comandava Bersani, e adesso, se dovessi dire un politico che mi ricorda Bersani oggi, io direi Achille Occhetto, che dopo la svolta della Bolognina, e dopo aver perso le elezioni politiche del ’94, era tornato in pista nel 1998 con un libro intitolato Governare il mondo, che aveva presentato con un giro alle feste dell’unità e, quando dagli altoparlanti si diceva che, al tendone della libreria, l’onorevole Achille Occhetto stava per cominciare a parlare del libro Governare il mondo, ti correva un brivido lungo la schiena, se così si può dire.

[Uscito ieri sulla Verità]

Come la coda del maiale 2

venerdì 30 Marzo 2012

Nel 1911, un anarchico di Praga che si chiama Jaroslav Hašek, e che diventerà uno dei più grandi scrittori del ventesimo secolo, fa l’ultima cosa che ci si aspetterebbe da un anarchico, fonda un partito politico. Lo chiama Partito del progresso moderato nei limiti della legge, e si autonomina Unico candiato alle elezioni per il rinnovo del parlamento austroungarico. E fa una vera e propria campagna elettorale, con dei comizi come quelli di tutti gli altri partiti, con la differenza che la prima domanda è gratis, per fare le successive bisogna pagare mezza pinta di birra. Allora, a parte il fatto che questa esperienza è diventata poi un piccolo libro che a me sembra bellissimo, Storia del partito del progresso moderato nei limiti della legge, e che comprende i discorsi che Hašek fece in quella celebre e ingloriosa campagna elettorale (sembra che i voti per il Partito del progresso moderato nei limiti della legge furono 38) e a parte il fatto che questo libro, nella traduzione di Sergio Corduas, sta per ricomparire in italiano dopo trentasette anni di assenza, in ebook, per i tipi di Sugaman (casa editrice nata l’anno scorso e fondata da Alessandro Bonino e da me – sono in palese conflitto d’interessi, mi sembra), a parte questi fatti mi veniva da chiedermi se io sarei disposto a spendere l’equivante di una mezza pinta di birra per fare una domanda a Bersani, per dire, e mi veniva da rispondermi che non lo so mica.

[Uscito oggi su Libero]

Io e Bersani

domenica 25 Marzo 2012

Mi han chiesto di scriver qualcosa di Pierluigi Bersani, perché siamo tutti e due emiliani, anche se io son di Parma, e lui è del piacentino, più precisamente di Bettola, nell’appennino, e io posso dire che Pierluigi Bersani è una persona che mi sembra simpatica, come modo di fare, anche se non lo conosco benissimo e, confesso, non lo capisco; cioè io, quando parla, Bersani, non capisco quello che dice, anche se siamo emiliani, non so perché, cioè è una cosa che mi succede anche con degli altri politici, anzi, di solito, i politici, più parlano e meno capisco, ma con Bersani è un po’ misteriosa perché ci sarebbe questa affinità linguistica, in teoria, tra corregionali che usiamo tutti e due una sintassi e un lessico e una consecutio e una cantilena e un’intonazione e un accento che non nascondiamo, di solito, la nostra provenienza, anzi, la manifestiamo quasi come se la rivendicassimo.
Non so come spiegarmi, è un po’ un mistero, forse è più chiaro se faccio un esempio, ho pensato, e sono andato in biblioteca e ho preso un libro, di Bersani, Per una buona ragione, intervista a cura di Miguel Gotor e Claudio Sardo, pubblicato nel marzo del 2011 dalla casa editrice Laterza e l’ho aperto a caso e ho trovato questa domanda:
«Non le pare che la questione democratica così posta non sia più risolvibile in un solo Paese, e forse neppure in un solo continente?».
E poi questa risposta: «Ne sono consapevole. Per questo credo che i partiti democratici e progressisti debbono trovare al più presto le modalità e gli strumenti per condurre insieme una battaglia per alzare il livello di sovranità della democrazia. Tra G2 e G20, Fondo monetario e Nazioni Unite, bisogna porre con più forza e più concretezza il tema del governo democratico del mondo».
Ecco: la prima cosa che mi è venuta in mente, a leggere questa risposta di Bersani, è stata una volta che Occhetto, pochi anni dopo avere perso le elezioni, quando l’avevan fatto presidente della commissione affari esteri della camera, nel 1998, pubblicò un libro che si intitolava Governare il mondo e fece un giro delle feste dell’Unità a presentarlo.
Ecco, io non lo so, ma secondo me, questa aspirazione a far sì che i partiti democratici e progressisti trovino al più presto le modalità e gli strumenti per condurre insieme una battaglia per alzare il livello di sovranità della democrazia, questa pulsione, tra G2 e G20, Fondo monetario e Nazioni Unite, a porre con più forza e più concretezza il tema del governo democratico del mondo, a me procura un imbarazzo che io mi immagino simile a quello dei volontari delle feste dell’unità che, nel 1998, dovevano prepararsi a presentare il libro Governare il mondo, di Achille Occhetto. Continua a leggere »