domenica 27 Marzo 2022
Io sono un individualista, molto individualista, e bastiancontrario, credo di avere sempre ragione io, e qualche anno fa, in un momento molto doloroso della mia vita, nostra figlia era piccola, ci siamo separati, io e sua mamma, Francesca, e in quel periodo, per un lavoro, ho riletto Guerra e pace, e in quella lettura di Guerra e pace ci ho trovato una cosa che non ci avevo mai trovato: che le persone che frequentiamo sono come i nostri sistemi solari, e le nostre orbite dipendono da loro, e io in quel momento, mi si era spento il sole, non sapevo più intorno a cosa orbitare, e ero rimasto lì come un coglione, con tutto il mio individualismo e la mia libertà.
Allora l’ecologia della testa, è, molto banalmente, io sono individualista, bastiancontrario e banale, imparare a stare con gli altri, imparare che esistono gli altri, andare verso gli altri, uni vers alia, gli uni verso gli altri, per dirla con Pavel Florenskij.
[Un pezzetto (inedito) del discorso sull’Ecologia della testa che esce lunedì o martedì sul Foglio]
giovedì 20 Agosto 2015
Nelle scuole filosofiche, in quella pitagorica in special modo – ma non solo, anche in quella eleatica e in altre organizzate a mo’ di confraternite-monasteri contemplativi –, l’educazione filosofica non tendeva tanto all’insegnamento dei dogmi filosofici predeterminati della scuola, quanto alla contemplazione attenta e profonda della vita, così da rendere all’anima «i giorni quando le era nuova ogni impressione della vita» affinché, come dopo un sonno ristoratore, la mente scorgesse con occhio non prevenuto e limpido l’immagine dorata dell’esistenza e, scortala, si stupisse, e, stupitasene, si meravigliasse,e, meravigliatasene, ne fosse estasiata, e, estasiata, vedesse non già i limiti esteriori dell’esistenza, non le sue fodere polverose, ma «la terraferma dell’abisso ubertoso», le inquietudini creative della vita, e ne sfiorasse gli aspetti quotidiani. Questa è la metafisica nella sua autentica e unica accezione possibile.
[Pavel Florenskij, Stupore e dialettica, traduzione di Claudia Zonghetti, Macerata, Quodlibet 2011, p. 55]
venerdì 15 Febbraio 2013
Il fattore creativo, individuale, originale della lingua, l’eco personale da parte di tutto l’essere – ecco ora, ad esempio, la mia eco personale in risposta a questo particolare fenomeno del mondo – la lingua insomma come creata nel farsi stesso del discorso, e soltanto come tale, conduce, attraverso la pura emotività, verso il trans-razionale e dal trans-razionale verso l’inarticolazione, perdendosi in suoni naturali come rumori, battiti, sibili, bisbigli e gridi. L’immediatezza della lingua si converte inevitabilmente in qualcosa di incomprensibile e senza senso. Al contrario, il fattore monumentale, collettivo della lingua, semplicemente in quanto sociale, generale, in quanto interamente esistente grazie a tutti, ovvero la lingua come a me concessa dalla comunità sociale, a me ceduta solo in uso, ma nient’affatto mia, insomma la lingua appunto e solo in quanto tale conduce, attraverso la razionalità, alla convenzionalità e dalla convenzionalità all’arbitrio del produttore della lingua e lì si avvilisce, nella ristrettezza della ragiona segregata. Entrambe le vie, ciascuna a modo suo, annientano la lingua e, stando alle osservazioni pratiche condotte sulla lingua, bisogna riconoscere l’indissolubilità dell’antinomia linguistica. La contradditorietà rientra infatti nella natura della lingua, è anzi un suo tratto sostanziale: per essa vive ed esiste la lingua. I due pilastri della lingua si sostengono reciprocamente e, per la rimozione di una delle due forze contrastanti, anche l’altra è destinata a cadere. La lingua non solo ha in sé queste opposte tendenze in lotta, che si realizza come equilibrio instabile tra i princìpi del moto e della quiete, dell’attività e dell’inerzia materiale, dell’impressionismo e della monumentalità.
[Pavel Florenskij, Attualità della parola, traduzione di Maria Chiara Pesenti e Elena Treu, Milano, Guerini e Associati 1989, p.120-121]
martedì 19 Luglio 2011
Non è dei simboli della realtà in quanto tale che narra il filosofo; egli mostra, bensì, quegli stessi simboli nel loro nascere dalla realtà. Egli non insegna, bensì esperisce la realtà al nostro cospetto. La dialettica è un esperimento ininterrotto sulla realtà per giungere nell’intimo dei suoi strati più profondi. Dice il Saggio: «Non si sazia l’occhio di guardare né mai l’orecchio è sazio di udire» (Ecclesiaste 1,8). La dialettica è la contemplazione mai paga della realtà e l’ascolto mai sazio della sua parola. Insinuandosi attraverso l’involucro della nostra soggettività, tra le pieghe ammorbanti del nostro spirito, il pensiero del filosofo è un pensiero vieppiù sperimentale, poiché lavora non sui simboli in quanto tali, ma tramite i simboli sulla realtà stessa.
[Pavel Florenskij, Stupore e dialettica, traduzione di Claudia Zonghetti, Macerata, Quodlibet 2011, p. 49]
venerdì 19 Marzo 2010
Occorre non ripetere le parole e le perifrasi imparate a memoria, ma parlare genuinamente, e anzi non parlare, ma cantare, e non una cosa qualsiasi, ma quel che vien da cantare, che di volta in volta erompe dal petto rigonfio in modo nuovo o, comunque, con suoni nuovi da scoprire, ricreando ogni volta tutto di bel nuovo. Allora ci sarà una lingua transmentale universale, un linguaggio-canto da cuore a cuore, una lingua di suoni transmentale senza condizioni e convenzioni, somigliante ai suoni della natura, una lingua che scorre da un’anima aperta ed entra direttamente nell’altra anima aperta che le è d’incontro, una lingua sincera, come un grido di disperazione o un urlo di dolore, fresca come un’esclamazione di gioia, infantilmente ingenua e nello stesso tempo noumenicamente saggia. Chi non ha sognato una lingua così?
[Pavel Florenskij, Attualità della parola, a cura di Elena Treu, Milano, Guerini e associati 1989, pp. 76-77]