Attraversare un campo
Ho cominciato a leggere, me l’ha consigliato Emilio Pappagallo, il libro di Robert Littell L’epigramma a Stalin, che, se ho capito bene, ricostruisce, in forma romanzesca, le varie vicende che discendono da una poesia di Mandel’štam su Stalin, tra le quali l’arresto di Mandel’štam e una successiva telefonata di Stalin a Pasternàk nella quale Stalin chiedeva a Pasternàk perché non si era dato da fare per evitare l’arresto e la detenzione del suo amico Mandel’štam (Stalin lo chiedeva a Pasternàk, sembra che sia successo veramente così).
Ho appena cominciato, e ho visto che, il libro in originale è in inglese, ho visto che nella traduzione italiana, la Literaturnaja gazeta (titolo di una celebre rivista letteraria prima russa, poi sovietica e poi russa) è diventata Literary Gazzette, in inglese, chissà perché (sarebbe come se, in un romanzo scritto in russo, ambientato in Inghilterra e tradotto dal russo in italiano The Times diventasse Vremena, forse).
Ma la cosa che mi ha fatto più effetto, di questo inizio, che mi sembra per il resto bello (ma sono appena all’inizio), la cosa che mi ha fatto più effetto è l’epigrafe, che è tratta da una poesia di Pasternàk, Amleto (la prima poesia tra quelle che si trovano alla fine del dottor Živago), che finisce con un verso bellissimo, che Zveteremich, il primo traduttore del Dottor Živago, traduceva così, se non ricordo male: Vivere una vita non è attraversare un campo.
Io sono un po’ affezionato a questo verso perché quando mi è successo, tempo fa, di fare un incidente grave e di trovarmi in ospedale in prognosi riservata con delle ustioni abbastanza dolorose, mi veniva in mente continuamente questo verso, Vivere una vita non è attraversare un campo, che in russo è una specie di proverbio, e in italiano, nella traduzione di Zveterimich, ha qualcosa che mi tocca e mi commuove, e quando la Feltrinelli ha pubblicato una nuova traduzione del Dottor Živago, tre anni fa, sono andato a guardare subito come avevano tradotto questo verso (la traduttrice è Serena Prina) e la traduzione era: Non è un gioco vivere una vita. Che, non so perché, non mi tocca e non mi commuove.
Nell’epigrafe del romanzo di Littell (la traduttrice è Sara Brambilla), questo stesso verso è diventato: La vita non è una passeggiata in un campo. Che, anche questo, chissà da dove salta fuori questa idea di passeggiare (l’originale russo è: Жизнь прожить – не поле перейти). Buonanotte.
Magri
L’anno scorso Andrea Gambetta, della fondazione Solares, ha chiesto a me e a Giuliano Della Casa di mettere su qualcosa sul tema del cibo, per una mostra che si chiamava Gnam, che è l’acronimo di Gastronomia Nell’Arte Moderna, credo.
Allora con Giuliano ci siamo messi un po’ a lavorare e alla fine sono saltati fuori un testo di cinquanta minuti (25 cartelle), intitolato I libri devono essere magri, e dodici tavole un metro per cinquanta centimetri con dodici riratti di scrittori magri o meno magri, e con il fondo alla tavola il frammento di testo che a loro si riferisce.
I libri devono essere magri è, in origine, una lettura musicata (musica di Tienno Pataccini eseguita dall’Usignolo) e anche una mostra portatile (la mostra si monta nel corso della lettura) che abbiamo fatto a Parma alla fine dell’anno scorso, a Spilamberto, in provincia di Modena, poche settimane fa e che rifaremo forse a Modena, in un locale che si chiama Il baluardo, tra qualche settimana, ma adesso è anche un libro, pubblicato da Tre lune, una casa editrice di Mantova che ha pubblicato anche una bellissima edizione delle Bucoliche di Virgilio illustrata sempre da Giuliano Della Casa.
Il libro ha in quarta di copertina la tredicesima tavola, della quale non ho una riproduzione fotografica, e il cui testo (un’imitazione abbastanza spudorata di Charms) è questo qua:
Beckett, scriveva in una lingua che non era la sua.
Flaubert, voleva scrivere un libro su un fatto insignificante.
Pasternàk, di tutti i suoi libri di poesie pensava Era meglio se non lo pubblicavo.
Balzac, le prime cose che ha scritto pensava che fossero porcherie letterarie.
Sciascia, delle volte si confondeva.
Hemingway, gli piacevano i fucili.
Majakovskij, gli piaceva la polizia.
Andy Warhol, usava le parrucche.
Gogol’, pensava di essere un profeta.
Petrarca, si è fatto incoronare.
Kafka, i suoi libri avrebbe voluto bruciarli.
Tutti un po’ dei disgraziati, a guardarli così.
Le dodici immagini di Giuliano Della Casa son queste qua:
(se si clicca sulle immagini le si ingrandisce, se si clicca ancora una volta le si ingrandisce ancora e si legge anche il testo)
ps Il libro è, al momento, abbastanza difficile da trovare nelle librerie e nel testo della tredicesima tavola, mi sono accorto adesso, mi sono dimenticato Leopardi.