Il modo di scrivere
Puškin non avrebbe mai scritto Evgenij Onegin se non avesse saputo che non era quello il modo di scrivere.
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Repetti, Milano, Jaca Book 2012, p. 72]
Puškin non avrebbe mai scritto Evgenij Onegin se non avesse saputo che non era quello il modo di scrivere.
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Repetti, Milano, Jaca Book 2012, p. 72]
Puškin non avrebbe mai scritto Evgenij Onegin se non avesse saputo che non era quello il modo di scrivere.
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca book 2012, p. 72]
Negli uomini, più di qualsiasi altra cosa, Puškin apprezzava la benevolenza. Ne parlò qualche giorno prima di morire, insieme al tema a lui familiare del destino, recensendo il libro di Silvio Pellico I doveri degli uomini (del 1834).
«Silvio Pellico passò dieci anni in diverse galere e quando ebbe riacquistato la libertà, pubblicò le sue memorie. Fu una sorpresa per tutti: invece di astiose recriminazioni ci si trovò a leggere delle considerazioni commoventi, colme di luminosa serenità, d’amore e bonarietà».
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca book 2012, p. 45]
Leggendo Pusškin si sente che egli ha concluso un’alleanza con le donne, che da loro è di casa, per di più in qualità di specialista, di quelli a cui si apre la porta a qualsiasi ora, insostituibile come la sarta, il parrucchiere, la massaggiatrice (è anche un po’ ruffiana, sa fare le carte), il medico alla moda, per i nervi, il gioielliere o il cagnolino (tutto riccioluto, e così vivace..). Tutta gente con la quale non si fanno complimenti e,
se capita, si alza anche la voce (che villano! vuol fare il furbo), ma che non si scaccia, non si butta fuori, con la quale ci si consiglia in segreto, di nascosto dalla suocera, che si apprezza e qualche volta ci si deve ingraziare.
E naturalmente dirgli di no è impensabile. Ci mancherebbe. Se lo chiede Puškin!
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca book 2012, p. 17]
Aveva appena intrapreso l’Onegin che già dichiarava all’amico Del’vig: «In questo momento sto scrivendo un nuovo poema, nel quale supero ogni misura in fatto di chiacchiere» (novembre 1823). Di lì a poco, sempre sulla stessa musica, apparve la corrispondente formulazione teorica: «Il romanzo esige che si chiacchieri: dì tutto quello che ti viene in mente: assolutamente!» (lettera a Bestužev, aprile 1825).
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca book 2012, p. 90]
Non avrebbe mai scritto Evgenij Onegin se non avesse saputo che non era quello il modo di scrivere.
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca book2012, p. 72]
Quante persone di cui ci ricordiamo e che amiamo per il solo fatto che hanno avuto la brillante idea di vivere nei paraggi di Puškin. E alcuni erano pieni di meriti per conto loro, non avevano niente da invidiargli, ad esempio Kjuchel’beker, il quale deve la sua fama principalmente al fatto che un giorno Puškin, avendo mangiato particolarmente bene, si sentì «kjuchel’becheramente». Dopo questo, il povero ragazzo ha un bell’uscire con gli altri decabristi sulla piazza del Senato o scrivere delle tragedie, non ci sarà verso, porterà per sempre queste stimmate: «kjuchel’becheramente».
[Sinjavskij – Terz, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca Book 2012, p 92. ]
Puškin, infischiandosene dei diritti e dei doveri dei cittadini di allora, si fece poeta come ci si fa vagabondi.
[Andrej Sinjavskij, Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca book 2012, p. 90]
Per Puškin il letto non è soltanto una dolce abitudine, è il luogo d’ispirazione che meglio corrisponde al suo spirito, l’officina in cui si formano stile e metodo. Intanto che gli altri, arrancando per i gradini della grande tradizione, s’issavano sul piedistallo e non potevano neppure guardare dalla parte della penna senza vestire mentalmente la toga o la divisa, Puškin, senza neanche badarci, s’abbandonava sul letto e lì, «in un piacevole oblio, la testa china sul guanciale», «con la mano un poco sonnolenta», buttava giù qualche inezia, che non meritava attenzione e non richiedeva fatica. Si elaborava in questo modo una maniera di pensare e di scrivere che doveva stupire per la sua sbrigliatezza di pensiero e di linguaggio, e si manifestava una libertà di parola senza precedenti nella nostra letteratura. Il dolce far niente, come fu chiaro in seguito, gli offriva proprio il destro migliore di diventar Puškin, ed egli si rallegrava di questa trovata:
In tale pigra positura
i versi sgorgano da soli.
A questo stadio, la poesia affondava e si dissolveva nel quotidiano.
[Andrej Sinjavskij (Abram Terz), Passeggiate con Puškin, a cura di Sergio Rapetti, Milano, Jaca Book 2012, pp. 11-12]