Passando in rassegna i ritagli di giornale
Tengo, da anni, una scuola di scrittura che si chiama Scuola elementare di scrittura emiliana e, da anni, per chi ha già fatto la scuola elementare faccio delle Scuole medie di scrittura emiliana, e in questo periodo sto facendo, a Milano, una Scuola media di scrittura su Michail Bulgakov: leggiamo dei racconti e dei romanzi di Bulgakov, ne parliamo, e chiedo ai partecipanti di scrivere delle cose che hanno a che fare con quel che ha scritto Bulgakov. La scorsa settimana, avevamo parlato della lettera che Bulgakov, nel 1930, scrive a Stalin dopo che le sue opere sono proibite. «Passando in rassegna i miei ritagli di giornale, – scrive Bulgakov, – ho constatato di aver ricevuto dalla stampa sovietica, nei dieci anni della mia attività letteraria, 301 recensioni, di cui 3 favorevoli e 298 ostili e ingiuriose» (la traduzione è di Mario Alessandro Curletto). Poi Bulgakov chiede o che lo lascino lavorare, o che gli permettono di andare all’estero. Sembra che Stalin, che dicono avesse visto una dozzina di volte I giorni dei Turbin, l’opera teatrale che Bulgakov aveva tratto dal proprio romanzo La guardia bianca, dopo qualche giorno abbia telefonato a Bulgakov e gli abbia detto che non era il caso che andasse all’estero e che gli avrebbero trovato da lavorare, e, con l’interessamento di Stalin, glielo trovarono davvero, allo Mchat, il teatro moscovita fondato da Stanislavskij. Allora io, come compito, ho chiesto ai partecipanti alla scuola media di scrivere una lettera a Gentiloni, e il mercoledì dopo ho ascoltato le lettere che avevano scritto e ho detto loro di questa serie di pezzi sui politici che avrei scritto per la Verità, e gli ho detto che avrei voluto finire con Gentiloni e che mi sarebbe piaciuto citare le loro lettere e loro, gentilissimi (o Gentilonissimi, come si legge in una di quelle lettere), mi hanno dato l’autorizzazione a usarle. Ho saputo, da quelle lettere, un po’ di cose che non sapevo, di Gentiloni, per esempio che appartiene alla famiglia dei conti Gentiloni Silveri, che è imparentato con Vincenzo Ottorino Gentiloni, responsabile del Patto Gentiloni, che ha determinato l’ingresso dei cattolici nella vita politica italiana, che è stato maoista, in Democrazia proletaria e, con Rutelli, nella Margherita. Non posso mettere tutte e 17 le lettere che son state scritte, ne citerò solo due. Domenico, il primo, scrive: «Io, di quello che tu hai combinato in questi ultimi mesi, cioè da quando ti hanno messo al governo al posto di quell’altro che ha perso il referendum, non so assolutamente niente. Io ti ho solo visto per sbaglio qualche volta alla televisione, ma se avessi parlato alla radio, non avrei riconosciuto nemmeno la tua voce.
Non potendomi lamentare per il tuo operato, ho pensato che forse potrei indirizzarti almeno qualche supplica. Mi piacerebbe poterti chiedere, ad esempio, come ha fatto Bulgakov con Stalin, di lasciarmi lavorare in santa pace, o in alternativa di permettermi almeno di lasciare il Paese, con tutta la famiglia. Ma a me, il fatto di lavorare in santa pace, mi fanno lavorare. Nessuno mi dice niente, ti assicuro. Per quanto riguarda andare all’estero, io e mia moglie invece, per il momento non abbiamo tanta voglia. Stiamo bene qui a Milano, siamo felici, il mese scorso ci siamo presi anche la macchina».
Ci sarebbero poi molte altre belle lettere, da citare, ma siccome ne voglio pubblicare una intera, c’è spazio solo per quella, la lettera di Luisella, con la quale chiudo questa serie di dieci pezzi sui politici, che mi è molto piaciuto scrivere, e per la quale ringrazio la Verità e i lettori che mi hanno sopportato tutti i giorni per così tanti giorni di fila.
«Gentile Presidente del Consiglio, le scrivo per descriverle un po’ l’Italia. Credo sia difficile pensarlo questo Paese quando si vive in un palazzo che ha il tuo stesso cognome. 100 passi da Palazzo Chigi. E da lì, da quella casa, credo che si faccia fatica a pensare a come si sta qui, dall’altro lato della strada. A volte mi domando se in quella sua bella casa, e in quella di altri politici, ci siano gli specchi in bagno. Ci saranno i bagni , no? Anche da voi. E si farà la barba o se la fa fare a Palazzo Chigi? Un giorno ho letto che la retribuzione di un barbiere di Palazzo Chigi supera i 120.000 euro, i rasatori e acconciatori dei deputati sono qualificati come operatori tecnici. Forse è questo il problema, non farsi la barba a casa, non guardarsi allo specchio in bagno e non stare soli con se stessi. Quei gesti lì, alzare il mento, il sopracciglio destro e poi quello sinistro. Potrebbe esserci un momento di verità. Ma ripeto è difficile pensare al Paese quando si vive in un palazzo che ha il tuo stesso cognome, anche se al liceo ci si firmava Paolo e nella O la falce e martello. Adesso rimane solo il martello con il quale sono state distrutte, certo non solo è colpa sua, tante cose per esempio la Scuola, il Lavoro, la Sanità.
Ho iniziato a capirlo quando si è smesso di chiamare il Primo Maggio la festa dei lavoratori ed è diventato la festa del Lavoro. Così generico. Lavoro come Sole Cuore Amore. Niente quindi. E in generale a chiamare le cose in inglese tipo giobszach. Non so a un certo punto è come se vi fosse venuta vergogna a chiamare le cose con il loro nome. A parlare di lavoro, di operai, di sciopero. E insieme al lavoro, la Scuola. Mica è un caso eh… e pensare che proprio oggi è un momento storico in cui studiare, allenare il pensiero critico, allenarsi alla complessità sarebbe importante per affrontare un mondo del Lavoro, appunto, che cambia ogni 15 giorni. Quando vedo tirare un’altra martellata alla Scuola mi viene in mente uno dei contadini di Fontamara. Il padrone gli aveva detto che il campo sarebbe stato diviso in due: ¾ ai contadini e ¾ al padrone. Uno a cui non tornavano le cose aveva detto che se c’era guadagno per padroni e contadini c’era un inganno. E che comunque ai cafoni “erano impediti i ragionamenti”.
Ecco distruggere la Scuola è questa cosa qui. Ci pensi». Firmato: Luisella.
[uscito ieri sulla Verità]