giovedì 20 Maggio 2021
Con l’opera di Dante la lingua italiana a lui contemporanea fa il suo ingresso nell’arena mondiale come un tutto organico, un sistema.
E la più dadaista delle lingue romanze si aggiudica il primo posto in campo internazionale.
[Osip Mandel’štam, Conversazione su Dante, a cura di Serena Vitale, Milano, Adelphi 2021, p. 32]
martedì 8 Dicembre 2020
Un mugnaio, quando non riesce a dormire, esce senza cappello e va a ispezionare le macine. A volte io di notte mi sveglio e ripeto le coniugazioni secondo la grammatica di Marr.
[Osip Mandel’štam, Viaggio in Armenia, a cura di Serena Vitale, Milano, Adelphi 1988, p. 65]
giovedì 24 Settembre 2020
L’atto stesso della traduzione provoca un estenuante deflusso di energie nervose. Questo lavoro spossa e dissecca il cervello più di qualsiasi altro. Un buon traduttore, se non salvaguardato, si logora in fretta. La traduzione è nel senso stretto del termine un reparto insalubre. I professionisti, costretti dalla miseria delle paghe a «cuocere» libri uno dopo l’altro come bliny, senza riposo e senza sosta, anno dopo anno, si ammalano di nervi… Sono minacciati da afasia, sconnessione del centro della parola, disfunzione del discorso, nevrastenia acuta. Occorre in questo campo una profilassi del lavoro. Occorre studiare e prevenire le malattie professionali.
[Osip Mandel’štam, Epistolario. Lettere a Nadja e agli altri (1907-1938), a cura di Maria Gatti Racah, Macerata, Giometti & Antonello 2020, p. 145]
mercoledì 17 Giugno 2020
Uno svegliava la moglie nel cuore della notte, le diceva: «Che fai dormi? Sì? Non dormire che ti detto una poesia».
[Osip Mandel’štam, dal Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]
lunedì 13 Aprile 2020
Uno era un poeta durante il regime sovietico e alla moglie, ogni tanto diceva: «Cos’hai da lamentarti? Solo da noi hanno rispetto per la poesia, in nessun altro paese uccidono per motivi poetici».
[Nadežda Mandel’štam, in Repertorio dei matti della letteratura russa, in preparazione]
venerdì 30 Marzo 2018
A differenza della grafia musicale, la scrittura poetica presenta una gigantesca lacuna, addirittura una voragine paurosa per quanto riguarda i segni, gli accenti, le indicazioni espressive che rendono un testo intellegibile e conforme alle leggi. In poesia questa segnaletica manca, anche se i fenomeni sottintesi non sono meno precisi di quelli a cui si riferiscono le note musicali o i geroglifici della danza. Un lettore poeticamente non analfabeta mette da sé i segni corrispondenti quasi ricavandoli dal testo.
L’alfabetismo poetico non ha nulla a che fare con quello comune, ossia con il saper leggere le lettere dell’alfabeto, e neppure con una cultura letteraria. Se la percentuale dell’analfabetismo comune e letterario è molto elevata in Russia, quella dell’analfabetismo poetico è addirittura spaventosa e tanto più preoccupante in quanto l’analfabetismo poetico viene confuso con quello comune, sicché chiunque sappia leggere è considerato poeticamente alfabeta. Questa constatazione va riferita anche, e a maggior ragione, alla massa dell’intelligencija semicolta, infetta di snobismo, che ha perduto il senso originario della lingua, che è ormai completamente indifferente ai fenomeni linguistici e quindi essenzialmente aglotta, e che solletica la sua sensibilità linguistica, da tempo atrofizzata, con leggeri e dozzinali stimolanti, dubbi lirismi e neologismi, non di rado estranei e ostili agli elementi spontanei della lingua russa.
Purtroppo sono appunto i bisogni di questo ambiente linguisticamente declassato che la poesia russa corrente deve soddisfare.
[Osip Mandel’štam, Uno sfogo, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003, p. 45]
giovedì 14 Aprile 2016
«Avevo appena cominciato a studiare la lingua italiana, – scrive Mandel’štam, – e ne conoscevo appena la fonetica e la prosodia, quando capii di colpo che in essa il baricentro dell’attività fonica è più vicino alle labbra, si sposta verso l’esterno della bocca. La punta della lingua assurge a improvviso onore; il suono si precipita verso la barriera dei denti. Un’altra cosa mi colpì: la puerilità della fonetica italiana, il suo bellissimo infantilismo, l’affinità con un melodico balbettio, con un dadaismo originario», e a leggere questa cosa a me è venuto in mente la ricetta del fegatello, messa in rima da Margutte nel cantare decimo ottavo:
Del fegatello non ti dico niente:
vuol cinque parte, fa’ ch’a la man tenga:
vuol esser tondo, nota sanamente,
acciò che ‘l fuoco equal per tutto venga,
e perché non ne caggia, tieni a mente,
la gocciola che morvido il mantenga:
dunque in due parti dividiàn la prima,
ché l’una e l’altra si vuol farne stima.
Piccolo sia, questo è proverbio antico,
e fa’ che non sia povero di panni,
però che questo importa ch’io ti dico,
non molto cotto, guarda non t’inganni!
ché così verdemezzo, come un fico
par che si strugga quanto tu l’assanni;
fa’ che sia caldo; e puoi sonar le nacchere,
poi spezie e melarance e l’altre zacchere.
(XVIII, 125-126)
dove a me piace moltissimo verdemezzo, che non so bene cosa voglia dire ma è una parola, come sempre mai, che si trova, anche, nel Morgante («Dicea Margutte: Io ho sempre mai inteso / che gnun non si vorrebbe mai beffare» IX, 89), ecco sempre mai è un avverbio che mi sembra incantevole, nella sua apparente insensatezza, ed è uno di quei casi in cui la traduzione, la parafrasi, mi sembra impossibile, dove la linea del suono e la linea del significato trovano un incrocio miracoloso, come dice ancora Mandel’štam in un altro passo del suo Discorso su Dante: «Il discorso o pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in via convenzionale; infatti ciò che udiamo è unicamente l’interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta, mentre l’altra, senza il sostegno del movimento delle immagini, è priva di ogni significazione e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo, a mio vedere, dell’assenza di poesia: dove è possibile la parafrasi, le lenzuola non sono gualcite, la poesia non ha pernottato».
[questo libro forse è uscito oggi]
martedì 24 Febbraio 2015
Il discorso o pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in via convenzionale; infatti ciò che udiamo è unicamente l’interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta, mentre l’altra, senza il sostegno del movimento delle immagini, è priva di ogni significazione e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo, a mio vedere, dell’assenza di poesia: dove è possibile la parafrasi, le lenzuola non sono gualcite, la poesia non ha pernottato.
[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003, p. 121]
lunedì 14 Luglio 2014
A pensarci, è stranissimo, ma Tolstoj, Dostoevskij, Brodskij, Charms, Chlebnikov, Erofeev, oltre a Spinoza e a Giordano Bruno, e a Balzac, e a Puškin, anche, e anche a Lermontov, credo, e a Anna Achmatova, e a Mandel’štam, e a Sinjavskij, ecco loro, son tutti condannati con sentenza definitiva, e io, però, non mi stanco di leggerli, e se dovessi scegliere se smettere di leggere i condannati con sentenza definitiva o i non condannati con sentenza definitiva, io, non lo so, di preciso, ma credo che smetterei di leggere i non condannati con sentenza definitiva.
martedì 10 Giugno 2014
Il discorso o pensiero poetico può essere chiamato sonoro soltanto in via convenzionale; infatti cioè che udiamo è unicamente l’interferenza di due linee, una delle quali, presa da sola, è assolutamente muta, mentre l’altra, senza il sostegno del movimento delle immagini, è priva di ogni significazione e interesse e si presta alla parafrasi, sintomo certissimo, a mio vedere, dell’assenza di poesia: dove è possibile la parafrasi, le lenzuola non sono gualcite, la poesia non ha pernottato.
[Osip Mandel’štam, Discorso su Dante, in Sulla poesia, traduzione di Maria Olsoufieva, Milano, Bompiani 2003, p. 121]