giovedì 21 Febbraio 2019
Il mio meccanico, mi ricordo, che aveva messo a punto la macchina prima del viaggio, quando me l’aveva consegnata mi aveva dato anche un cacciavite a stella e mi aveva detto «Se la macchina a un certo punto si ferma, tu parcheggi da un lato della strada, scendi, prendi questo cacciavite, sviti le targhe, sia quella davanti che quella di dietro, e la macchina la lasci lì. L’importante è che porti indietro le targhe».
Il giorno prima di partire, mia nonna mi aveva preso da parte, mi aveva dato cinquantamila lire e mi aveva detto «Tieni, per comprare qualche birretta lungo la strada».
A Mantova, mi ero già perso. C’eran degli svincoli, delle deviazioni, di quei cartelli gialli che dicono Deviazione, e io avevo seguito quelli e non sapevo più dove andare. Dopo poi mi ero orientato. Avevo dormito la prima volta poco prima di Vienna.
Dormivo in macchina, e avevo una sveglia, con me, ma la tenevo girata, e quando mi svegliavo, se era notte, non sapevo mai quanto sarebbe durata la notte, poteva durare un’ora come otto ore.
Adesso non lo so com’è, ma a Bratislava, nel ‘95, cambiava lo spazio, le facce degli uomini, la strada, i bambini spettinati andavano a scuola e indicavan la macchina e facevan la lingua.
Ho parlato solo con dei benzinai e con dei poliziotti e con degli addetti alla dogana, e, una volta, mi avevan fermato, in dogana, era la prima volta che vedevano una due Cavalli, e si eran molto meravigliati per come era stretta, e mi avevano chiesto «Ma voi, in Italia, avete le macchine strette perché le strade son strette?».
E poi quando ero arrivato, sul Bol’šoj prospekt dell’isola Vasilevskij di San Pietroburgo, nel 95, avevo parcheggiato la macchina davanti alla casa del mio amico che mi avrebbe ospitato, che si chiama Tim, e lui mi aveva detto che aveva visto un bambino, che era passato lì davanti, per mano a suo babbo, aveva indicato a suo babbo la mia macchina e gli aveva detto «Eto budet moja mašina» (Questa sarà la mia macchina).
E niente, poi son son stato lì due mesi poi son tornato a casa.
E, prima ancora di tornare a casa, fin da quando ero lì, in Russia, non che sia importante, ma quello è stato il momento che ho cominciato a scrivere.
Quella cosa che ho scritto qua sopra: «Il giorno prima di partire, mia nonna mi aveva preso da parte, mi aveva dato cinquantamila lire e mi aveva detto Tieni, per comprare qualche birretta lungo la strada», l’ho scritta il primo giorno che mi son messo a scrivere per raccontar delle cose, nel mese di luglio del 1995, come se fosse un racconto autonomo che si intitolava Storia delle birrette, se può interessare, e dopo, quando sono tornato, non ho più fatto altro, praticamente, nella mia vita, più o meno, di scrivere dei racconti come Storia delle birrette.
[La grande Russia portatile, domani, a Milano, alla Open, con Tino Mantarro]
lunedì 5 Febbraio 2018
Mangiamo i biscotti al bancone e parliamo. Senza dubbio Perry è bravo a parlare. Sembra un avvocato dinnanzi alla corte suprema. Poi, interrompendo una frase di quindici minuti, si rivolge al tipo dietro al bancone e gli domanda:
Questo posto è aperto ventiquattr’ore al giorno?
Sì, risponde quello.
Sette giorni alla settimana?
Esatto.
Trecentosessantacinque giorni l’anno?
Proprio così.
Allora perché ci sono delle serrature sulla porta?
Ci giriamo tutti a guardare.
[Andre Agassi, Open, traduzione di Giuliana Lupi, Torino, Einaudi 2011, p. 83]
sabato 3 Febbraio 2018
Il tennis è lo sport in cui parli da solo. Nessun atleta parla da solo come i tennisti. I lanciatori di baseball, i golfisti, i portieri borbottano tra sé, ovviamente, ma i tennisti parlano con se stessi – e si rispondono. Nella foga di un incontro, i tennisti sembrano dei pazzi per la strada, che farneticano, imprecano e dibattono accesamente con il proprio alter-ego. Perché?
[Andre Agassi, Open, traduzione di Giuliana Lupi, Torino, Einaudi 2011, p. 12]
lunedì 7 Agosto 2017
C’è un libro che si intitola Il magico potere del fallimento, di Charles Pépin, che tra gli esempi di fallimento fa quello di Agassi, e della sua storia, raccontata nell’autobiografia Open, e io, quando ho visto che citava Agassi, pensavo che avrebbe citato una frase che, nell’edizione italiana dell’autobiografia, è a pagina 115, questa qui: «ho la sensazione di essere stato messo a parte di un piccolo, ignobile segreto – vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta. E ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo. Nemmeno lontanamente». Invece Pépin non la cita, questa frase, e, in generale, per come l’ho capito io, nel libro di Pépin il fallimento è un modo per aver successo; che a uno che gli piace il fallimento, non dovrebbe piacergli per il successo, dovrebbe piacergli per il fallimento, secondo me. Comunque.
sabato 16 Giugno 2012
In questi giorni sto leggendo l’autobiografia di Andre Agassi, che si intitola Open, pubblicata in Italia da Einaudi, tradotta da Giuliana Lupi e ha una storia singolare, non il libro in sé la cui storia non la conosco, proprio la mia copia, quella che sto leggendo. Di Open mi aveva parlato Andrea Bajani, che mi aveva detto che era uno dei libri più strani e più convincenti che aveva letto negli ultimi mesi. Stavo per comperarlo, quando è cominciata la rubrica che Baricco tiene su la Repubblica, rubrica nella quale Baricco parla dei cinquanta libri più belli che ha letto negli ultimi dieci anni, e il primo libro che ha consigliato di leggere è stato Open, di Andre Agassi. Di conseguenza, Open, che era uscito nell’estate del 2011 e che da mesi non era più esposto sui banconi delle librerie, è tornato a essere esposto sui banconi delle librerie e in quella dove vado io, la Coop Ambasciatori, a Bologna, ce n’era una pila all’ingresso. Allora non l’ho più comprato. Continua a leggere »
lunedì 11 Giugno 2012
ho la sensazione di essere stato messo a parte di un piccolo, ignobile segreto – vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta. E ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo. Nemmeno lontanamente.
[Andre Agassi, Open, traduzione di Giuliana Lupi, Torino, Einaudi 2011, p. 215]