mercoledì 13 Marzo 2019
Ma perché si ride di qualcosa che accade sempre uguale per due o tre volte di seguito è difficile da spiegare. Certo se Manzoni, alla fine dei Promessi sposi, nel momento in cui Renzo e Lucia stanno finalmente per convolare a nozze, avesse mandato altri due bravi di un altro signorotto spagnolo a impedire il matrimonio, avrebbe fatto ridere. Ma non si sa perché.
[Daniele Benati, Segar, in Elzie Crisler Segar, Bernice la gallina fischiona, traduzione di Daniele Benati, Oblomov, Milano 2018, p. 9]
domenica 30 Settembre 2018
Domenica 30 settembre, a Torino,
al Circolo dei lettori,
in via Bogino, 9,
alle 21,
dentro Torino Spiritualità,
leggo da Oblomov, di Ivan Gončarov,
dentro una cosa che si intitola
Oblomov. Una vita orizzonatale
(mi hanno detto che ci saranno
dei cuscini, e che si potrò ascoltare
da sdraiati)
sabato 29 Settembre 2018
«Perché è finito tutto?» disse d’un tratto alzando la testa. «Chi è che ti ha maledetto, Il’ja? Cos’hai? Tu sei buono, intelligente, caro, nobile, e… vai in rovina! Chi è che ti ha rovinato? Non c’è un nome a questo male…».
«C’è» disse lui in modo appena percettibile.
Lei lo guardò con uno sguardo interrogativo, gli occhi pieni di lacrime.
«Oblomovismo», sussurrò lui, poi le prese la mano, avrebbe voluto baciarla, non aveva potuto.
giovedì 5 Luglio 2018
– Be’, e c’è qualcos’altro di nuovo in politica? – chiese Oblomov dopo aver taciuto un po’.
– Sì, scrivono che la sfera terrestre si raffredda sempre di più: una volta o l’altra ghiaccerà tutta.
– Ma dài! Ma è forse politica, questa?
Alekseev era mortificato.
– Dmitrij Alekseič all’inizio ha parlato di politica, – si giustificò, – poi è andato avanti a leggere e non ha detto, quando finiva la politica… Questa era già letteratura, lo so.
– E cosa ha letto, di letteratura? – chiese Oblomov.
– Ha letto che gli autori migliori sono Dmitriev, Karamzin, Batjuškov e Žukovskij…
– E Puškin?
– Puškin lì non c’era. Anch’io ho pensato: ma perché non c’è? Eppure è un zenio, – disse Alekseev pronunciando la g come una z.
Subentrò il silenzio.
[Ivan Gončarov, Oblomov]
domenica 29 Ottobre 2017
Nel 2012, subito dopo l’uscita di una mia traduzione di Oblomov, il romanzo del 1859 di Ivan Gončarov, ho fatto un’intervista per radio con Mariarosa Mancuso, che mi ha chiesto se era vero quel che diceva Nabokov che Oblomov era il contrario della Recherche di Proust. Che nella Recherche, diceva Nabokov, il protagonista ci metteva 150 pagine a andare a letto, in Oblomov il protagonista ci mette 150 pagine a alzarsi, da letto. Non avevo saputo rispondere alla domanda, perché non avevo il libro sottomano, ci sono andato a vedere adesso: le pagine che ci mette Oblomov a alzarsi da letto sono 163. In tutta la prima parte del libro, praticamente, Oblomov sta sempre a letto, e anche per buona parte del resto del romanzo, delle restanti 488 pagine, sta quasi sempre a letto anche lì. E quando non sta a letto sta «Così», dice Gončarov, come «a volte, piace stare ai cani: seduti, per giorni interi, alla finestra, la testa appoggiata al sole, a guardare, scrupolosi, tutto quello che passa». Un altro esempio delle giornate di Oblomov è questo dialogo tra Il’ja Il’ič Oblomov, il padrone di casa, e il suo conoscente Ivan Alekseeevič: «Mi racconti qualcosa, Ivan Alekseevič!» aveva detto Oblomov. «Abbiamo già parlato di tutto, Il’ja Il’ič, non c’è niente, da raccontare». «Come niente? Lei vede della gente: non c’è nessuna novità? Legge i giornali, no?». «Sì, ve’, qualche volta li leggo, o se no li leggon degli altri, ne parlano, e io ascolto. Ieri per esempio, da Aleksej Spiridonyč, suo figlio, uno studente, ha letto ad alta voce…». «Cos’ha letto?». «Degli inglesi, che hanno mandato dei fucili e della polvere a qualcuno. Aleksej Spiridonyč ha detto che ci sarà la guerra». «A chi li hanno mandati?». «In Spagna, o in India, non mi ricordo. Il console però era molto poco contento». «Che console?» aveva chiesto Oblomov. «È quello, che non mi ricordo», aveva detto Alekseevič alzando il naso verso il soffitto e sforzandosi di ricordare.«Con chi ci sarà la guerra?». «Con il pascià turco, credo».
Giorgio Manganelli diceva che di Oblomov non si può parlare. «O lo conoscete» diceva Manganelli, «e vi ha sedotto, e un recensore non può dirvi nulla, o non lo conoscete, e allora, per favore non perdete altro tempo con queste fatue righe, e andate a leggerlo». Quando avevo dovuto fare l’introduzione a quell’edizione del 2012, avevo ricordato che nel 1859, subito dopo l’uscita di Oblomov, era apparso un celebre saggio di Nikolaj Dobroljubov, intitolato Che cos’è l’oblomovismo, e che in questo suo saggio Dobroljubov diceva che Oblomov, il protagonista di questo romanzo, incarna perfettamente il tipo sociale dell’uomo superfluo, tipo sociale che, a parere di Dobroljubov, prosperava, a metà dell’ottocento, in terra russa e ne popolava la stupefacente letteratura.
«È già stato notato da tempo che tutti i protagonisti dei maggiori racconti e romanzi russi, – scriveva Dobroljubov, – soffrono per il fatto che non vedono che scopo abbia la propria vita e non trovano, per sé, un’occupazione». Dobroljubov diceva anche chi erano questi protagonisti: l’Onegin dell’Evgenij Onegin di Puškin, il Pečorin dell’Eroe dei nostri tempi di Lermontov, il Rudin del Rudin di Turgenev, il Negrov del Di chi è la colpa di Herzen, il Tentetnikov della seconda parte delle Anime morte di Gogol’ eccetera eccetera.
«Tutta gente per bene, – avrebbe detto Daniil Charms, – e non sanno farsi una posizione».
Come mai?
Adesso, è difficile dirlo, ma una delle risposte possibili, ipotizzavo allora, una delle cause possibili di questa situazione risiede forse nel fatto che quella generazione, i russi colti della prima metà dell’ottocento, era stata forse la prima generazione di russi ad avere contatti frequenti con l’occidente, avevano vinto Napoleone e si erano spinti fino a Parigi, e avevano letto gli illuministi, e avevano frequentato le lezioni dei filosofi tedeschi, e, le teste piene di libertà, uguaglianza, fratellanza e idealismo, la notte stellata sopra di loro, la forza morale dentro di loro, erano tornati in Russia, la loro patria, dove c’era ancora la servitù della gleba, e uno stato corrotto e arretrato e avevan scoperto che non potevan far niente.
Tutto il loro sapere, tutta la loro scienza non serviva a niente, perché c’era un apparato statale piramidale, con a capo lo zar, che decideva lui, cosa bisognava fare, loro dovevano solo servire, si diceva così, vale a dire ubbidire, e, se non volevan servire, ritirarsi in campagna e non dare troppo fastidio, mi scuso per la banalità del riassunto.
Allora, dicevo nell’introduzione, forse mi sbaglio, ma proviamo a immaginare un ragazzo, oggi, immaginiamo che sia di Carpi e si chiami Claudio, e immaginiamo che sia appassionato di filosofia, e che faccia una tesi su Spinoza, sull’Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico di Spinoza, immaginiamo che impari il latino, e l’olandese, e immaginiamo che dopo due anni che ci lavora discuta la tesi, centodieci e lode, va bene, ma dopo? Proviamo a chiederci cosa interessa, alla società in cui vive questo Claudio di Carpi, o di Mirandola, è lo stesso, che cosa interessa alla società che Claudio troverà il mattino dopo la sua laurea, quando esce di casa, oltre la soglia del suo appartamento, che cosa interessa, a questa società, dell’Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico, di Spinoza, o delle Diatribe di Epitteto, faccio per dire. Che utilità ha, Claudio di Mirandola, per quella società, cosa può fare, in quella società? Ha davanti due possibilità: o si mette a servire, o si mette in un angolo e cerca di non rompere troppo i maroni, dicevo nel 2012 e credo che le cose stiano ancora così. Ho quasi finito, mi mancan due cose, la prima, che Oblomov, questo uomo superfluo, ha una straordinaria capacità di voler bene alla gente, a tutti, anche al suo servo, anche alla sua cuoca, e che questo romanzo a me sembra uno straordinario romanzo d’amore e Gončarov, l’autore, a un certo punto parla dei suoi contemporanei, uomini adulti, utili tutt’altro che superflui, sposati, padri di famiglia, seri, che «si erano lasciati alle spalle l’amore come se fosse l’abc del matrimonio, una forma di gentilezza, come fare un inchino entrando in società e poi via, presto, al lavoro. Come se fossero impazienti di scrollarsi di dosso la primavera della vita; molti, anzi, avrebbero poi guardato male le loro mogli per tutta la vita, come se li facesse arrabbiare il fatto di esser stati, un tempo, così stupidi da amarle». L’altra, che Ivan Gončarov, l’autore, è nato nel 1812 a Simbirsk, città russa sulla riva occidentale del Volga che sarebbe stata poi ribattezzata Ul’janovsk, e si chiama ancora oggi così, in memoria di Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin, che ci sarebbe nato nel 1870 e che
stando a Aldo Buzzi (in Čechov a Sondrio) avrebbe poi detto che la missione della sua vita (di Lenin) sarebbe stata «combattere Oblomov».
[uscito venerdì sulla Verità]
martedì 28 Aprile 2015
Un’altra cosa su Oblomov è che lui, Oblomov, sa esattamente quello che non fa.
lunedì 27 Aprile 2015
Oblomov, secondo me, è uno che non ha voglia di far niente e che crede di avere degli ottimi motivi, per non aver voglia di fare niente, e una cosa strana è che, a leggere il libro, vien da dargli ragione, ha degli ottimi motivi, per non aver voglia di far niente.
lunedì 27 Aprile 2015
Lunedì 27 aprile,
intorno alle 15 e 20,
su Radio 3,
dentro Fahrenheit,
si parla di Oblomov
venerdì 4 Luglio 2014
Mi hanno avvisato ieri che tra due settimane, il 16 luglio, quando comincerà il festival sonoro della letteratura Questa è l’acqua, dovrò salire sul palco, all’inizio, per fare un piccolo discorso per spiegare cos’è il festival, perché l’abbiamo fatto, chi partecipa che son quelle cose che io, quando vado a vedere le cose, quando salgon sul palco gli organizzatori di solito penso Che due maroni, e allora non so come sarà, andare sul palco consapevole del fatto che il mio intervento susciterà una discreta raffica di Che due maroni.
Allora ho pensato che la cosa migliore che posso fare è andare sul palco e dire Buongiorno, io mi chiamo Paolo Nori mi hanno chiesto di fare un piccolo discorso per spiegare cos’è questo festival, perché l’abbiamo fatto, chi è che interviene, che son quelle cose che io, quando vado a vedere le cose, quando salgon sul palco gli organizzatori di solito penso Che due maroni, e allora devo dire è abbastanza strano, salire sul palco consapevole del fatto che il mio intervento susciterà una discreta raffica di Che due maroni.
Ecco. Potrei cominciare così. Son tornato a Casalecchio adesso da Viareggio, ieri sera abbiam parlato di Oblomov a Ronchi, è stato molto bello, secondo me. Buongiorno.
giovedì 3 Luglio 2014
Giovedì 3 luglio,
all’Hotel Villa Maremonti,
viale Lungomare di Levante, 51
a Ronchi (MS),
alle 21 e 30
si parla di Oblomov
con Luciano Berselli